I risultati di un recentissimo studio mostrano che buchi neri supermassicci, che sono ospitati nelle regioni centrali di molte galassie, incrementano ulteriormente la loro massa a seguito di collisioni intergalattiche. Quando le nubi di gas che fanno parte di questi enormi complessi stellari vengono risucchiate dal buco nero esistente nel nucleo di una di queste, viene prodotta un’enorme quantità di radiazione a varie lunghezze d’onda tipica dei quasar. Si tratta degli oggetti più luminosi dell’Universo osservabile ed una loro caratteristica particolare è quella di emettere la stessa quantità di radiazione in quasi tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio, ai raggi X e gamma.
Questi buchi neri in accrescimento originariamente sono nascosti da grandi quantità di polveri, ma dopo un tempo dell’ordine di un centinaio di milioni di anni queste cortine opache vengono spazzate via dalla fortissima pressione di radiazione, rendendo direttamente visibile il quasar estremamente brillante.
Immagine artistica dell’evoluzione di un quasar dopo un evento di fusione tra due galassie.
Finora, non si era riusciti a stabilire con precisione per quanto tempo i quasar restassero nascosti da queste enormi nubi di polveri. Mentre i quasar non oscurati furono scoperti nei tardi anni cinquanta, quelli oscurati dalle polveri erano molto più difficili da rivelare, e furono scoperti solo nei tardi anni novanta.
Utilizzando le osservazioni effettuate con gli osservatori orbitanti Hubble (ottico e vicino infrarosso), Chandra (raggi X) e Spitzer (medio e lontano infrarosso), è stato infatti identificato un notevole numero di quasar oscurati che distano da noi fino a 11 miliardi di anni luce, una distanza in cui gli oggetti che osserviamo ci appaiono come erano quando l'universo aveva solo un quinto della sua età attuale. Per molto tempo si era creduto che queste sorgenti fossero molto rare, ma adesso vengono osservate ovunque.
Poiché la maggior parte della radiazione emessa da questi quasar oscurati è nascosta, è stato necessario osservarli nell’infrarosso e nei raggi X. A queste lunghezze d’onda, infatti, la radiazione è meno influenzata dall’oscuramento. Si è così potuto riscontrare che il rapporto tra il numero di quasar oscurati e non oscurati era significativamente più alto nell'universo primordiale rispetto ad ora.
Secondo i più accreditati modelli teorici, con i quali si cerca di simulare l’evoluzione dell’Universo, risulta che le fusioni tra galassie massicce ricche di gas erano più frequenti in un lontano passato e queste recenti osservazioni si trovano quindi in perfetto accordo con uno scenario del genere.
Una volta identificati, è stata utilizzata la nuova Wide Field Camera 3 (WFC3) di Hubble, installata una decina di mesi fa, per analizzare questi oggetti distanti e cercare di confermare che questi quasar sono effettivamente il risultato di fusioni galattiche. Le immagini rivelano i chiari segni di interazioni e di fusione, confermando l’ipotesi alla base di questo studio. Infine, sulla base di un semplice modello teorico, è stato possibile stimare che sono necessari circa 100 milioni di anni perché la radiazione proveniente dalla materia che sta per essere “fagocitata” dal buco nero supermassiccio sia in grado di spazzare via le polveri e il gas che lo avvolgono.
Adesso, abbiamo quindi avuto la conferma che queste fusioni sono responsabili della produzione sia della popolazione di quasar oscurati sia dei loro stretti parenti brillanti.