Spazio

I microrganismi sopravvivono bene allo Spazio

Batteri, funghi e licheni e altri microganismi hanno viaggiato nello Spazio, fuori dalla Stazione spaziale, per quasi due anni: molti sono tornati a Terra in piena salute. La vita può diffondersi attraverso lo Spazio, e noi abbiamo adesso uno strumento in più per riconoscerla.

Contro l'ipotesi della panspermia, ossia dell'idea che la vita si sia propagata da un luogo all'altro dell'Universo attraversando gli spazi siderali "a cavallo" di asteroidi e comete, c'è la comune convinzione che un qualsiasi organismo vivente verrebbe ucciso più o meno rapidamente dalle proibitive "condizioni ambientali" dello Spazio e dalle radiazioni cosmiche. Una convinzione sempre più difficile da sostenere anche in virtù dei risultati del BIOlogy and Mars Experiment (BIOMEX), un programma internazionale condotto sulla Stazione spaziale tra il 2014 e il 2016, che ha dimostrato come alcuni organismi viventi possano invece sopravvivere nello Spazio, mostrando anzi una resistenza e un attaccamento alla vita al di là di ogni aspettativa.

Tenuti per 513 giorni consecutivi in appositi habitat all'esterno della ISS, batteri, alghe, licheni, funghi e altre sostanze organiche hanno provato sulla loro pelle il vuoto dello Spazio, variazioni di temperatura estreme (tra esposizione diretta al Sole e protetti dall'ombra della Terra), radiazioni cosmiche, vento solare...

BIOMEX: esperimenti su microrganismi sulla ISS
Habitat per microrganismi all'esterno della ISS. BIOMEX è un progetto internazionale, condotto da ESA, Roscosmos (Agenzia spaziale russa), DLR (Agenzia spaziale tedesca) e numerosi istituti ed enti di ricerca: non è ancora concluso, ma i risultati fin qui ottenuti hanno portato a ben 42 articoli scientifici. © Nasa

Al termine della lunga esposizione sono stati riportati a Terra: con tutte le precauzioni del caso, naturalmente, per evitare che eventuali mutazioni potessero dare vita a microrganismi incontrollabili sul nostro pianeta, e per i due anni successivi sono stati monitorati giorno dopo giorno, generazione dopo generazione.

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Gli archei (Archaea) sono microrganismi elementari le cui cellule sono senza nucleo (procarioti): nel cosmo dei micorganismi, sono i più antichi. Scoperti alla fine degli anni '70, sono stati trovati in tutti gli habitat. Le relazioni di parentela (filogenesi) ed evolutiva tra procarioti (archei e batteri) ed eucarioti, i due domini in cui sono suddivisi gli organismi viventi, non sono tutt'oggi chiare: recenti studi ipotizzano che gli archei siano all'origine della nascita delle cellule eucariote, il dominio della vita che include gli organismi dotati di nucleo, ossia gli unicellulari (protisti) e i multicellulari (le piante, i funghi, gli animali e quindi noi stessi). Vedi Earth Microbiome Project. © Focus.it / img. WikiMedia

Il programma di monitoraggio è ancora in corso (sulla pagina Nasa dedicata al progetto si parla di indagine decennale), ma il planetologo Jean-Pierre Paul de Vera (Agenzia spaziale tedesca) non ha dubbi: «Alcuni organismi e alcune molecole organiche hanno dimostrato di poter sopravvivere molto bene nello Spazio. Al momento stiamo focalizzando l'attenzione su alcune classi di archei, presenti dagli albori della vita sulla Terra, e che per quel che possiamo vedere potrebbero benissimo sopravvivere nelle attuali condizioni di Marte».

Tra le ricadute tecnologiche più significative, la ricerca ha permesso di mettere a punto e perfezionarte un sensore per riconoscere la presenza di processi metabolici della vita attraverso la spettroscopia Raman: il sensore permetterà di analizzare campioni di materiale marziano direttamente da un rover, senza distruggere il campione stesso ed eventuali forme di vita al suo interno. Un dispositivo di questo tipo sarà nella dotazione del rover della missione ExoMars 2020 (Esa/Roscosmos) che scenderà sul Pianeta Rosso nel 2021.

3 aprile 2019 Luigi Bignami
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