I raggi cosmici sono costituiti da particelle e nuclei atomici di alta e altissima energia provenienti dallo spazio esterno che, muovendosi quasi alla velocità della luce, colpiscono la Terra e qualunque altro corpo celeste da ogni direzione. La loro origine e la loro natura sono molto varie (l'energia dei raggi cosmici è distribuita su quattordici ordini di grandezza), così come varia è la loro origine: il Sole, le stelle, fenomeni energetici come le supernovae, fino ad oggetti remoti come i nuclei galattici attivi e i quasar.
La maggior parte dei raggi cosmici che arrivano sulla Terra vengono schermati dai campi magnetici solare e terrestre e dall'atmosfera, in quest’ultimo caso con interazioni che tipicamente producono una cascata di particelle secondarie a partire da una singola particella energetica. Tali particelle possono arrivare fino alla superficie terrestre ed essere osservate con speciali apparecchiature.
Nei casi in cui venga a mancare lo schermo dell'atmosfera, come nei satelliti artificiali e nelle sonde spaziali, i raggi cosmici pongono un problema notevole sia per la strumentazione elettronica di bordo, che deve essere opportunamente schermata, sia, nel caso di missioni con equipaggio umano, per gli astronauti che sono sottoposti ad un continuo bombardamento da parte di queste particelle ionizzanti.
Il Sistema Solare è protetto abbastanza efficacemente dai raggi cosmici galattici da parte dell’eliosfera, una gigantesca bolla magnetica attorno al Sole, che si estende sino ad oltre 15 miliardi di chilometri dalla nostra stella.
E’ di pochi giorni fa la notizia che, a causa dell’indebolimento dell’attività solare, in corso ormai da quasi due anni e che per il momento non sembra riprendere, l’intensità del flusso di raggi cosmici che colpiscono il nostro pianeta è aumentata di quasi il 20% rispetto al massimo raggiunto dall’inizio dell’era spaziale, circa mezzo secolo fa. I dati sono stati raccolti dal satellite della NASA ACE (Advanced Composition Explorer).
La causa di ciò è da imputare all’indebolimento del campo magnetico solare correlato alla riduzione dell’attività della nostra stella. Il vento solare, il flusso di particelle cariche che viene continuamente emesso dal Sole, che contribuisce a proiettare verso lo spazio esterno il campo magnetico solare, ha ridotto la sua pressione nel corso degli ultimi 50 anni. Ciò ha prodotto una diminuzione del campo magnetico nello spazio interplanetario dai tipici 6-8 nanoTesla a 4 nanoTesla (il Tesla è l’unità di misura utilizzata per esprimere l’intensità di un campo magnetico), con la conseguente riduzione nella schermatura dei raggi cosmici.
Questo indebolimento è dovuto ai cicli a cui va soggetta l’attività solare. Il Sole, da circa due anni, si trova al minimo del suo ciclo di attività magnetica undecennale e l’attuale è quello di maggiore durata da circa un secolo.
Questo comportamento della nostra stella potrebbe rappresentare un segnale che l’inusuale attività del Sole nel corso degli ultimi 100 anni sta terminando, per ritornare ad una più normale bassa attività, oppure sta entrando in un cosiddetto “grande minimo” di un eccezionale bassa attività che potrebbe durare alcuni secoli. Un fenomeno questo, denominato “minimo di Maunder” e a cui corrispose la cosiddetta mini-era glaciale, che si verificò tra gli inizi del 1600 ed il 1720, un periodo durante il quale la presenza di macchie solari fu estremamente bassa.
Andamento dell’attività solare, sulla base del numero di macchie solari dall’anno 850 ai giorni nostri. In rosso il numero delle macchie solari misurato direttamente, in azzurro il numero delle macchie solari dedotto dall’analisi di carote di ghiaccio prelevate in Antartide, in celeste (dal 1450) quello dedotto dall’analisi di carote di ghiaccio prelevate in Groenlandia. E’ chiaramente visibile l’incremento dell’attività solare registrato nel corso dell’ultimo secolo.
Le variazioni dell’attività magnetica solare possono essere dedotte per un periodo di oltre 10.000 anni dalla misura dell’abbondanza di isotopi rari presenti nelle carote di ghiaccio prelevate in Antartide e in Groenlandia.
Se da una parte la diminuzione dell’attività solare può rappresentare un bilanciamento almeno parziale al riscaldamento globale in atto sul nostro pianeta, dall’altro lato rappresenta un grosso problema per l’esplorazione spaziale, in particolare di quella umana.