Oggi sappiamo che la Luna è un ambiente sterile, inospitale anche per forme di vita microbica; ma nei primi anni del Programma Apollo, si temeva che gli astronauti sbarcati sul suolo lunare potessero riportare a Terra ospiti indesiderati, microbi lunari contro i quali i terrestri non avrebbero potuto difendersi. Per un principio di precauzione, per scongiurare questo non meglio definito rischio di contaminazione, agli astronauti delle prime missioni lunari fu imposta una "quarantena" di 21 giorni dopo il rientro a Terra.
Quella di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins cominciò con una tuta di isolamento biologico da indossare poco dopo lo splashdown nel Pacifico, all'apertura della capsula. Gli incursori della Marina Usa incaricati del recupero spruzzarono un disinfettante a base di iodio sulle valvole dell'aria atmosferica e tutt'intorno al portellone del Columbia (la navicella dell'Apollo 11), e i tre astronauti così bardati furono portati a bordo della portaerei Hornet, dove si trovava la Mobile Quarantine Facility (MQF), una sorta di roulotte convertita a tenuta stagna, senza ruote e ben più spaziosa di una capsula spaziale, che filtrava l'aria in uscita e poteva essere caricata su di un aereo.
Due intrusi. Insieme all'equipaggio, nell'MQF entrarono anche un ingegnere e un medico della NASA, John Hirasaki e William Carpentier, che ebbero il privilegio di sorseggiare Martini con i tre astronauti mentre il resto del mondo li osservava da dietro un vetro. La zattera usata per il recupero fu affondata deliberatamente, per evitare di trasportare materiali potenzialmente contaminati. L'ansia da contaminazione fu accentuata dalla presenza del presidente Richard Nixon sulla Hornet.
Con le famiglie. Due giorni dopo l'ammaraggio, la Hornet arrivò a Pearl Harbour, dove la MQF fu calata e trasferita alla Hickam Air Force Base prima di essere trasportata a Houston su un jet C-141. Gli astronauti furono accolti, a distanza, dalle mogli (ognuna vestita con un colore della bandiera degli Stati Uniti) e poi condotti al Lunar Receiving Lab presso il Lyndon B. Johnson Space Center, insieme ai campioni di roccia lunare raccolti.
La stessa procedura fu ripetuta con l'equipaggio dell'Apollo 12, sempre nel 1969, e con l'Apollo 14 nel 1971 (con quello - più sfortunato - dell'Apollo 13 non ce ne fu bisogno). Nel luglio 1971, all'epoca della missione Apollo 15, la paura dei patogeni lunari era svanita e questo rituale fu abbandonato.
prima, non dopo. Oggi l'attenzione è rovesciata: bisogna evitare di portare patogeni in orbita, per non complicare inutilmente la vita in ambienti particolarmente complessi come la Stazione spaziale, perciò la quarantena è preventiva.
Gli astronauti come Luca Parmitano, in procinto di partire per la ISS, trascorrono un paio di settimane in quarantena in un'area apposita a Bajkonour, in Kazakistan, nei pressi del sito di lancio delle Soyuz. Nella prima settimana è consentita qualche visita dei familiari, anch'essi tenuti sotto stretto controllo medico; al rientro a Terra sono previsti esami medici e riabilitazione, ma non quarantene.