La Nasa ha comunicato i risultati delle prime analisi condotte sui campioni raccolti su Bennu, un asteroide vecchio di 4,5 miliardi di anni, e riportati a Terra il 24 settembre 2023 dalla sonda Osiris-Rex e c'è di che esssere soddisfatti. Si tratta di scoperte di grandissimo interesse: la Nasa infatti, ha fatto sapere che il campione contiene abbondanti quantità di acqua e carbonio: è un'ulteriore prova a sostegno dell'ipotesi secondo la quale la vita, o almeno i suoi elementi base, sono stati portati sulla Terra dallo spazio.
«Questo è il più grande campione di asteroide ricco in carbonio mai riportato sulla Terra», ha detto l'amministratore della NASA Bill Nelson, in un evento stampa al Johnson Space Center di Houston, dove sono state mostrate le prime immagini della polvere nera e dei ciottoli di Bennu.


Nel materiale raccolto sull'asteroide Bennu ci sono gli elementi base della vita
Il carbonio rappresenta quasi il 5 per cento del peso totale del campione ed è presente sia in forma organica (che non vuol dire necessariamente vita, intendiamoci, ma solo che ci sono molecole con carbonio al loro interno) sia minerale, mentre l'acqua è racchiusa all'interno della struttura cristallina dei minerali argillosi.
I risultati sono stati ottenuti attraverso un'analisi preliminare che ha coinvolto la microscopia elettronica a scansione, la tomografia computerizzata a raggi X e altro ancora.
Gli scienziati ritengono che il motivo per cui la Terra possiede oceani, laghi e fiumi sia dovuto al fatto che tra 4,5 e 4 miliardi di anni fa venne bombardata da un gran numero di asteroidi che trasportavano acqua e ciò la rese un pianeta abitabile. Nel contempo sono sempre più i dati che sostengono l'idea che oltre all'acqua arrivarono anche gli elementi base della vita, soprattutto carbonio, che qui, sulla Terra, forma legami con altri elementi per produrre proteine ed enzimi, nonché gli elementi costitutivi del codice genetico, DNA e RNA.
Se una persona "salisse" sull'asteroide Bennu sprofonderebbe
«Quello che stiamo vedendo è il sogno di ogni astrobiologo», ha dichiarato lo scienziato Daniel Glavin della NASA, aggiungendo che c'è ancora molto lavoro da fare e che il campione sarà condiviso con i laboratori di tutto il mondo per ulteriori studi.
I dati raccolti dalla navicella spaziale OSIRIS-REx quando ancora era in orbita attorno ad esso hanno rivelato che le particelle che compongono l'esterno di Bennu erano così poco compattate che se una persona dovesse mettere piede sulla superficie potrebbero affondare, proprio come un contenitore di palline di plastica nelle aree gioco dei bambini.
OSIRIS-REx non è stata la prima sonda a incontrarsi con un asteroide e a riportare campioni da studiare: il Giappone è riuscito nell'impresa due volte, restituendo materiale di asteroidi nel 2010 e nel 2020. Ma la quantità raccolta da OSIRIS-Rex, circa 250 grammi, è enormemente superiore rispetto a quella restituita dalle missioni giapponesi, in quanto Hayabusa2, ad esempio, ha riportato solo 5,4 grammi di polveri.
L'asteroide Bennu – che comunque non è il primo a essere raggiunto dall'uomo per prelevarne campioni – è un "artefatto primordiale conservato nel vuoto dello spazio", ha detto la NASA e ciò lo ha reso un obiettivo attraente per la ricerca. La sua orbita, che interseca quella del nostro pianeta, ha inoltre reso il viaggio più semplice rispetto a quello necessario per raggiungere asteroidi che si trovano nella cintura degli asteroidi, posta tra Marte e Giove.


Anche le generazioni future analizzeranno il materiale prelevato dall'asteroide Bennu
Oltre che per acquisire conoscenze scientifiche, lo studio di Bennu è ritenuto importante per avere una migliore comprensione della sua composizione perché potrebbe rivelarsi utile se mai l'umanità avesse bisogno di deviarlo nel caso in cui si trovasse in rotta di collisione con la Terra: al momento non c'è alcun rischio di scontro di qui alla metà dell'anno 2100, ma le probabilità salgono a circa 1 su 1.750 tra il 2100 e il 2300.
Finora i ricercatori hanno concentrato le loro attenzioni non sui campioni principali che si trovano all'interno del contenitore, ma sulle "particelle bonus" (così le ha chiamate la NASA), che si trovano sopra il meccanismo di raccolta dei campioni e che si sono fortunosamente attaccate. Solo successivamente seguirà un'ispezione del resto del materiale raccolto. La NASA ha comunque affermato che conserverà almeno il 70 per cento del campione di Houston per studi futuri, una pratica iniziata per la prima volta nell'era Apollo con le rocce lunari. «I campioni saranno quindi disponibili per nuove domande, nuove tecnologie, nuove strumentazione disponibili nel lontano futuro» ha affermato Eileen Stansbery, capo della divisione di ricerca sugli astromateriali presso il Johnson Space Center.

