Mentre arrivano novità sulle ricerche fin qui condotte dalla sonda Rosetta sulla cometa Churyumov-Gerasimenko, ecco un’immagine davvero unica (qui sopra) che riassume 18 pose della cometa stessa riprese dai 30 ai 100 km di distanza.
Nello stesso intervallo di tempo la distanza tra la cometa e il Sole era compreso tra i 363 e i 300 milioni di chilometri. 67/P (sigla della cometa) raggiungerà il punto più vicino alla nostra stella il prossimo agosto, quando si troverà a soli 185 milioni di chilometri: il progressivo avvicinamento ha regalato alla cometa una chioma sempre più evidente, prodotta dai gas e dalle polveri che salgono dalla sua superficie.
Intanto si è scoperto che il nucleo della 67/P non è magnetizzato. Il dato è importante perché la presenza o meno di campi magnetici cometari è un indizio per conoscere meglio il ruolo che i campi magnetici hanno giocato sulla formazione dei corpi agli albori del Sistema Solare, circa 4,6 miliardi di anni fa.
In quel periodo la polvere che formava la nebulosa primitiva possedeva una frazione apprezzabile di ferro, con grani di magnetite. Piccole frazioni di questo materiale sono stati infatti trovati in antiche meteoriti precipitate sulla Terra e questo ha fatto pensare che i campi magnetici potrebbero aver avuto un ruolo importante nell'aggregazione di particelle più piccole.
Non c'è traccia del passato. Non è ancora chiaro, infatti, come materiale di dimensioni millimetriche sia passato a dimensioni sempre più grandi fino a dare vita ai planetesimi (oggetti rocciosi primordiali). Secondo alcune ipotesi non è da escludere che ancora oggi oggetti primitivi di grandi dimensioni, come 67/P, possano aver mantenuto le informazioni fossili di quei primi momenti della nostra storia. Ecco perché ci si è molto concentrati su questo studio, realizzato con lo strumento Romap (Rosetta Lander Magnetometer and Plasma Monitor), che però ha dato risultati negativi.
Philae conferma. Una conferma dell'assenza di magnetizzazione della cometa è arrivata anche da Philae, il robot sceso sulla superficie della cometa. «I suoi rimbalzi, ovviamente non voluti, hanno permesso di stabilire l'assenza di campo magnetico», ha dichiarato Hans-Ulrich Auster, autore della ricerca. «La mancanza di un campo magnetico significativo potrebbe significare che esso non ebbe ruolo nella formazione dei grani proto-planetesimali.» In altre parole, anche se i grani di materia erano molto piccoli, a guidarli nell'assemblaggio dei planetesimi non furono i campi magnetici bensì la gravità.