13 miliardi e mezzo di anni, più o meno l'età della Via Lattea, condensati in due minuti. È l'ultima fatica degli ingegneri della NASA che in questa spettacolare animazione ci mostrano lo sviluppo di una galassia simile alla nostra dal Big Bang fino ai giorni nostri. Ogni colore utilizzato nel video ha un preciso significato: in rosso le stelle più vecchie, in bianco e blu le più giovani, in azzurro tenue i gas. La simulazione si riferisce a una galassia larga 300.000 anni luce, cioè 3,8 volte la Via Lattea.
L'animazione è stata realizzata su Pleiades, un supercomputer della NASA in funzione presso l'Ames Research Center di Mountain View, in California, e ha richiesto circa un milione di ore di CPU per essere elaborato. In realtà il tempo di calcolo effettivo è stato molto inferiore, poiché Pleiades dispone di ben 23.552 processori in grado di lavorare tutti insieme.
Galassie l'evoluzione continua
Grazie a questa simulazione, ottenuta con le osservazioni dei telescopi Keck e Hubble, si è potuto scoprire che l'ordine che si osserva nei dischi delle galassie non risalirebbe a un’epoca antica dell’universo, come molti astronomi credevano, ma sarebbe invece il frutto d’un processo graduale.
Come spiega l'Istituto Nazionale di Astrofisica, fino a oggi, l’ipotesi prevalente era che l’ordine dei dischi galattici risalisse a circa 8 miliardi di anni fa: a quella che viene chiamata, appunto, “epoca dell’assestamento” (the epoch of disk settling). Uno studio appena uscito su The Astrophysical Journal ha sviluppato una nuova ipotesi, affermando che le forme odierne, così ben organizzate, sono in realtà il prodotto d’una sorta d’evoluzione molto più graduale. Un’evoluzione che non ha mai smesso d’arrestarsi.
Galassie belle e galassie brutte
«La tendenza che abbiamo osservato», spiega infatti la prima autrice dell’articolo, Susan Kassin, astronoma del Goddard Space Flight Center della NASA, «mostra che le galassie, da allora, hanno continuato a cambiare». Ma perché gli scienziati se ne sono accorti soltanto ora? La risposta, come spesso accade, pare stia nella scelta del campione osservato. Scelta che, sostengono i 14 autori dell’articolo, nelle ricerche condotte in passato tendeva a escludere le galassie più “disordinate”. «Gli studi precedenti rimuovevano le galassie che non somigliavano ai dischi rotanti ben ordinati comuni nell’universo odierno», sostiene Benjamin Weiner, astronomo presso l’Università dell’Arizona e coautore dell’articolo. «Trascurandole, finivano per prendere in esame solo i rari esemplari già “ben educati” presenti nell’universo remoto, finendo così per concludere che da allora le galassie non sono cambiate».
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