Scienze

Un passo in avanti per comprendere la dinamica delle eruzioni

I fenomeni di vulcanismo improvviso studiati attraverso l'analisi di eruzioni millenarie.

Negli ultimi anni sono avvenute anche eruzioni vulcaniche importanti senza segni premonitori: la ricerca è impotente? Ne sappiamo per davvero così poco? Per fortuna no: molto resta ancora da fare e da capire, ma uno studio recente sembra poter spiegare il motivo delle eruzioni improvvise, e questo può migliorare i metodi di monitoraggio di vulcani dormienti e attivi.

​La storia è scritta nei minerali. I fenomeni di vulcanismo sono spiegati con l'accumulo di pressione dei gas nel serbatoio magmatico, che salgono dalle profondità insieme a nuovo magma: è un meccanismo che richiede tempo, a volte decine o centinaia di anni.

La nuova ricerca dimostra che alcune eruzioni possono essere attivate in pochi mesi, se non addirittura in pochi giorni, in seguito alla formazione più o meno improvvisa di bolle di gas nelle camere magmatiche, senza che arrivi nuovo gas dalle profondità. La ricerca, realizzata da un gruppo di vulcanologi dell’università di Oxford e dell’Osservatorio Vesuviano, si è concentrata sui Campi Flegrei, la pericolosa caldera italiana.

A queste conclusioni i ricercatori sono giunti grazie allo studio di minuscoli cristalli di minerali noti come apatite e clinopirosseno, eruttati dai Campi Flegrei circa 4000 anni fa. Apatite e clinopirosseno assumono piccole differenze chimiche a seconda delle condizioni termodinamiche del magma (temperatura, chimica e pressione). Studiando la composizione dei cristalli intrappolati in tempi diversi dell’evoluzione del corpo magmatico - quasi fossero capsule del tempo - i ricercatori hanno scoperto che il magma eruttato ha trascorso "gran parte della sua vita" in assenza di gas, e che le bolle di gas si sono invece formate in grandi quantità poco prima dell’eruzione.

L'importanza dei gas. Questa scoperta porta a concludere che le deformazioni del suolo e i piccoli terremoti che possono avvenire vicino a un vulcano indicano l’arrivo di nuovo magma dalle profondità, ma non avvertono necessariamente dell’imminenza di un’eruzione.

Mike Stock, del dipartimento di scienze della Terra dell’università di Oxford, ritiene che «i risultati della ricerca suggeriscono che forse è meglio fare affidamento sul monitoraggio dei gas che fuoriescono in prossimità di un vulcano piuttosto che sull’attività sismica e le deformazioni del suolo. Quando il magma della camera magmatica entra in ebollizione, la composizione dei gas che arrivano in superficie cambia, e questo può diventare il segnale di un’eruzione imminente».

Se ricerche analoghe in altre parti del mondo confermeranno le conclusioni dello studio, avremo modo di aumentare - forse in modo significativo - il livello di sicurezza per gli insediamenti attorno a vulcani attivi e dormienti.

3 febbraio 2016 Luigi Bignami
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