Scienze

Uragano Dorian: tre domande importanti e le risposte della scienza

Perché si è fermato tanto a lungo sulle Bahamas? Che cosa c'entrano i cambiamenti climatici, e davvero il suo percorso è stato difficile da prevedere?

Ora che Dorian si appresta a colpire la costa sudorientale e medio-atlantica degli Stati Uniti, spostandosi verso nord a una velocità di 11 km orari, ci si interroga su alcune caratteristiche della seconda tempesta atlantica peggiore di sempre. Perché ha sostato tanto a lungo sulle Bahamas, seminando una scia di morte e distruzione? Gli eventi di questo tipo sono in qualche modo legati al global warming? Possibile che non siano state elaborate previsioni più precise sul suo percorso?

Come spiegato sul New York Times, il percorso degli uragani è in parte guidato da sistemi di venti nell'alta atmosfera che non sono direttamente coinvolti nella tempesta. Quelli che spingevano Dorian si sono bruscamente indeboliti (fin quasi a fermarsi, a 1,5 km all'ora) quando l'uragano ha raggiunto le Bahamas. John A. Knox, coordinatore del Programma di Scienze Atmosferiche dell'Università della Georgia (uno degli stati minacciati da Dorian), ha detto a The Verge: «È come trovarsi in barca a vela quando il vento scema. Sei bloccato, non si va da nessuna parte». Per gli abitanti delle Bahamas, ha significato rimanere per 24 ore sotto un uragano di categoria 5. Un incubo che ha devastato le infrastrutture ed è costato la vita ad almeno 20 persone.

Un'immagine del satellite finlandese ICEYE-X2 mostra la porzione dell'isola di Grand Bahama sommersa dall'acqua durante il passaggio di Dorian. Il margine della costa è segnato in giallo, le strade in bianco. © ICEYE-X2

Il (complesso) legame con il global warming. Secondo alcuni scienziati, queste tempeste al rallentatore potrebbero diventare sempre più comuni, in un futuro segnato dal riscaldamento globale. Gli alti venti atmosferici tendono sempre di più a rallentare sopra i continenti, in estate, un fatto che potrebbe favorire lo "stallo" dei sistemi atmosferici come gli uragani. Uno studio pubblicato su Nature nel 2018 sostiene che il moto in avanti dei cicloni tropicali sia rallentato del 10% dal 1949 al 2016.

Anche l'uragano Harvey rimase su Houston per giorni, nel 2017, ma su questo punto - cambiamenti climatici e tempeste più "lente" - non c'è consenso, tra gli addetti ai lavori. Eventi distruttivi di questo tipo rimangono comunque molto rari, e non è possibile estrarre statistiche attendibili. Troppo presto per distinguere tra gli effetti dei cambiamenti climatici e una naturale variabilità.

Su una cosa però, i meteorologi sono d'accordo: il riscaldamento globale sta aumentando l'intensità e la portata d'acqua delle tempeste. Più del 90% del calore catturato e rimandato indietro dai gas serra è conservato negli oceani, e oceani più caldi forniscono agli uragani le energie per aumentare di dimensioni. Non sappiamo se in futuro avremo più uragani, ma possiamo aspettarci uragani più intensi. In altre parole: Dorian potrebbe somigliare molto agli uragani del 2050.

Un aumento della temperatura porterà a piogge più intense durante un uragano. Vedi anche: © Getty Image

Imprevedibile? Non più di tanto. Infine la domanda che tutti ci siamo fatti osservando le immagini delle Bahamas sommerse: perché Dorian è stato così imprevedibile? La verità è che... non lo è stato, almeno per gli addetti ai lavori. O meglio: non lo è stato più di altri uragani, posto che si tratta di fenomeni in divenire e imprevedibili per definizione.

Per Gabriel Vecchi, Professore di Scienze della Terra all'Università di Princeton, sul percorso di Dorian c'è stato un relativo accordo tra i meteorologi. Ma il pubblico di non specialisti ha trovato il normale grado di incertezza delle previsioni poco soddisfacente. Il National Weather Service americano ha continuato, e sta continuando, ad aggiornare le previsioni mano a mano che arrivavano dati sulla tempesta.

Sempre più accurati. I modelli utilizzati sono stati arricchiti con osservazioni in tempo reale acquisite da 92 stazioni meteorologiche sparse per il Nord America e 10 nei Caraibi, che hanno rilasciato palloni meteo in atmosfera. Questi strumenti hanno raccolto dati sulla temperatura, la velocità dei venti, l'umidità e la pressione. Mano a mano che l'uragano prendeva corpo e si avvicinava a terra, il margine di incertezza si è assottigliato.

Le piccole tempeste in mare (come era Dorian quando è stato avvistato per la prima volta, il 24 agosto) sono più difficili da studiare perché mancano dati dalle stazioni meteo di terra. Ci si affida alle saltuarie segnalazioni delle navi, ai pericolosi voli dei cacciatori di uragani e alle immagini satellitari. Ora che Dorian viaggia verso la costa orientale USA, il suo comportamento si fa sempre più prevedibile. Ad accoglierlo ci sono i tipici venti medio-atlantici che soffiano da ovest a est, e che dovrebbero guidare la tempesta in direzione nordest.

6 settembre 2019 Elisabetta Intini
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