Scienze

L'Uomo Selvaggio delle Alpi

Nelle aree montane in cui il cristianesimo si affermó con un certo ritardo, sopravvissero a lungo strani esseri sapienti della natura - di cui si racconta ancora oggi.

Gli eroi culturali - o civilizzatori - sono figure mitiche che, come fece Prometeo per il fuoco, insegnarono agli uomini varie tecniche, come la semina, la metallurgia, la tessitura e così via. Coyote, per esempio, avrebbe dato il fuoco e fatto conoscere l'agricoltura ai pellerossa; Yurupari, gli utensili quotidiani e il flauto agli indio della foresta Amazzonica; Anansi i metodi di coltivazione in Africa Occidentale. Ma non c'è bisogno di andare in Amazonia o in Africa per cercare, nella tradizione, gli eroi culturali. Basta recarsi nelle Alpi, in Tirolo o in Val di Fassa, dove il compito di civilizzatore era svolto, in contraddizione solo apparente, dal cosiddetto Uomo Selvaggio.

Su questa figura mitica, che oggi sopravvive demansionata e anche un po' abbruttita sotto forma di maschera, ma ancora presente nella sua positività in certi racconti della tradizione, ha indagato l'antropologo Cesare Poppi, che ha pubblicato Saggi di Antropologia Ladina e Alpina (edito da Istitut Cultural Ladin, 2019). Infatti è nella Ladinia, la regione storico-geografica di lingua ladina a cavallo fra il Trentino-Alto Adige e il Veneto (Val Gardena, Val Badia, Val di Fassa, valli di Fodom e d'Ampezzo) che la tradizione si riscontra ancora.

Intelligente secondo natura. «L'Uomo Selvaggio era l'inviato di una sorta di super natura allo scopo di fare evolvere l'uomo, che ancora viveva in una condizione di sottocultura», spiega Poppi a focus.it: «Nella narrazione locale alpina più antica, l'Uomo Selvaggio insegna a fare il burro e il formaggio. Nelle Dolomiti Orientali gli insegnamenti ricoprono diverse altre competenze agricole. In Val di Fassa lo chiamavano il Salvan, ed era immaginato come un contadino sapiente che riusciva a coltivare le proibitive pendici del Monte Sella, disposto a condividere le sue avanzate conoscenze. Inoltre, si preoccupava di visitare di tanto in tanto le case dei contadini per assicurarsi che i raccolti fossero andati bene.»

Maschera del Salvan, di legno, corteccia, pigne e muschio, esposta al Museo Ladino di Fassa. Il Salvan svolge la funzione di eroe civilizzatore, ma può lanciare, secondo la tradizione, potenti maledizioni contro chi non gli porta rispetto. I personaggi mitologici della Val di Fassa, come Vivènes, Bregostènes, Salvans o Stries, sono protagonisti delle contìes, narrate da cantastorie ambulanti nelle lunghe sere invernali. Ancora oggi le contìes continuano a essere raccontate, anche nelle postazioni multimediali del Museo Ladino di Fassa.
Maschera del Salvan, di legno, corteccia, pigne e muschio, esposta al Museo Ladino di Fassa. Il Salvan svolge la funzione di eroe civilizzatore, ma può lanciare, secondo la tradizione, potenti maledizioni contro chi non gli porta rispetto. I personaggi mitologici della Val di Fassa, come Vivènes, Bregostènes, Salvans o Stries, sono protagonisti delle contìes, narrate da cantastorie ambulanti nelle lunghe sere invernali. Ancora oggi le contìes continuano a essere raccontate, anche nelle postazioni multimediali del Museo Ladino di Fassa. © Museo Cultural Ladin

Non solo: aveva varianti femminili, con le Vinenes o Anguane, "eroine culturali" che si occupavano anche loro di agricoltura e insegnavano alle donne ad acconciarsi i capelli, atto simbolico di civilizzazione. Sulle Alpi c'erano varie figure femminili riconducibili al tipo Donna Selvaggia che insegnarono la filatura e la conduzione delle faccende domestiche. Tutt'altro che narcisistica era quindi la credenza alpina che le scoperte tecniche non provenissero dagli esseri umani, ma che fossero suggerite o passate loro da figure a metà strada fra l'umano e il mondo naturale, che stavano in aree di confine, in foreste e montagne, portando nei villaggi di tanto in tanto, a uomini e donne, elementi di civiltà.

C'era poi, però, un momento di rottura: gli esseri umani, ingrati, facevano puntualmente arrabbiare questi "selvaggi" benefattori. Per esempio il Salvan, fu messo in condizioni di andarsene e sparì per sempre fra le montagne.

I racconti della sera. «Noi in Val di Fassa raccontiamo ancora storie mitiche ai nostri ragazzi, così come le apprendemmo dai nonni», afferma Daniela Brovadan, conservatrice del Museo Ladino di San Giovanni di Fassa (Museo Ladin de Fascia), in provincia di Trento: «sono racconti sul Salvan o sulla Bregostana, sua controfigura femminile. Oppure sulla Vivana, entità delle acque specializzata nel diffondere l'arte della tessitura e dei vari lavori domestici».

Un monumento di legno di recupero, alto 8 metri, dedicato alla Bregostana, fra le piste da sci del Buffaure a Pozza di Fassa ( Trento), realizzato da Francesco Avancini. Le Bregostane sono immaginate come streghe, ma derivano dalla Donna Selvaggia, a cui la cristianizzazione ha tolto tutte le funzioni positive. Le Bregostane, secondo la tradizione ladina e trentina, vivevano in caverne e anfratti, erano forzute e pericolose, soprattutto per i bambini. Ma avevano il terrore dei cani.
Un monumento di legno di recupero, alto 8 metri, dedicato alla Bregostana, fra le piste da sci del Buffaure a Pozza di Fassa ( Trento), realizzato da Francesco Avancini. Le Bregostane sono immaginate come streghe, ma derivano dalla Donna Selvaggia, a cui la cristianizzazione ha tolto tutte le funzioni positive. Le Bregostane, secondo la tradizione ladina e trentina, vivevano in caverne e anfratti, erano forzute e pericolose, soprattutto per i bambini. Ma avevano il terrore dei cani.

Una figura simile al Salvan, e cioè L'Om Selvarech, si manifestò in un giorno imprecisato di tanto tempo fa a Pontealto Agordino, nelle Dolomiti Orientali. Bussò stanco, affamato e infreddolito alla porta di un vecchio, che lo accolse e lo rifocillò. «Per riconoscenza», racconta ancora Poppi, «l'Om Selvarech gli insegnò a fare con il licopodio un colino per purificare il latte: fino a quel momento gli uomini avevano tolto con le dita le impurità. Nacque una amicizia che portò questo uomo selvaggio a insegnare tutta una serie di tecniche agli abitanti del paese.»

Come condizione della sua permanenza, quella che non gli venisse mai chiesto il suo nome. Patto poi rotto da uno sprovveduto: l'eroe culturale allora sparì per sempre nella foresta. Ma ogni 25 aprile a Pontealto Agordino (Belluno) sfilano le maschere costruite intrecciando erba di licopodio. Sono quelle dell'Uomo Selvaggio e della Donna Selvaggia che ballano a turno con i cittadini di sesso opposto. Se qualcuno per caso riconosce il portatore della maschera e lo chiama per nome, lui (o lei) deve subito interrompere la festa e allontanarsi dal paese, secondo un rituale che richiama l'antica credenza.

«In altre aree alpine», fa notare l'antropologo, «dell'Uomo Selvaggio rimane solo il suo simulacro, disgiunto dal racconto mitico positivo di eroe culturale, in maschere che mostrano invece solo aspetti scherzosi o negativi, come quelle che ricordano diavoli e streghe.»

Arrivano i santi. C'è poi un'altra figura, quella del Santo Eremita, che «invece di venire dalla natura per costruire la cultura, si muove nella direzione opposta: dalla cultura per assoggettare la natura», rileva Poppi. Il tema narrativo del Santo Eremita lo troviamo nella storia di San Lugano.

Durante la carestia del 424 d.C., Lugano, vescovo di Sabiona, vicino a Bressanone, emette un decreto per il quale gli abitanti della diocesi potranno mangiare latticini (latte, burro e formaggio) anche durante la Quaresima.

Immagine di copertina dei Saggi di antropologia ladina e alpina (Vol. 1), di Cesare Poppi: l'Uomo Selvaggio ridotto a diavolo per l'effetto sostitutivo del Santo Eremita (vedi testo).
Immagine di copertina dei Saggi di antropologia ladina e alpina (Vol. 1), di Cesare Poppi: l'Uomo Selvaggio ridotto a diavolo per l'effetto sostitutivo del Santo Eremita (vedi testo).

Alcuni fedeli ariani (dottrina che considerava Cristo di natura inferiore rispetto al Padre) per screditare il vescovo segnalano il fatto dei latticini a Roma. Lugano riceve l'ordine di comparire davanti al Papa per giustificare la violazione della legge canonica. Sulla via per Roma il vescovo dà prova di santità, guarendo la moglie di un oste e ordinando a un terribile orso che gli aveva divorato il cavallo di portarlo in groppa a Roma. Per strada, comanda a tre pernici di seguirlo come regalo personale per il Papa. Al cui cospetto Lugano appende il suo mantello a un raggio di Sole. Papa Celestino, davanti a tali segni miracolosi di santità, lo assolve.

Tornato a Sabiona, Lugano viene ancora attaccato dai fedeli di dottrina ariana e, deluso, decide di andarsene per vivere come eremita. Si stabilisce nella valle oggi detta di San Lugano, piena di serpenti velenosi - che proprio lui bonifica con un altro atto della sua "super cultura" che piega la natura. Diverrà il santo protettore dalle inondazioni, dalle maldicenze e dal veleno dei serpenti. Ancora oggi il 25 aprile si svolge una processione in suo onore nella Valle di San Lugano. «Ciò che accadde storicamente dietro la sostituzione dell'Uomo Selvaggio con il Santo Eremita», conclude Poppi, «fu il passaggio dalla religiosità pagana al cristianesimo in ambiente alpino, cosa che avvenne o si completò in ritardo rispetto alle coste e alle città. Con i santi eremiti, come Lugano, l'eroe culturale non era più il frutto della sapienza della natura, ma si muoveva dalla cultura verso la natura per dominarla.»

Un cambio di mentalità i cui effetti vediamo oggi nell'ambiente oltremodo compromesso dai nostri "miracoli tecnologici".

16 marzo 2022 Franco Capone
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