Nel 1999, un'infezione respiratoria causata da un fungo tropicale si diffuse sulle fredde coste occidentali del Nord America. L'origine dell'epidemia è rimasta a lungo un mistero: come aveva fatto il patogeno a spingersi dalle latitudini tropicali fino al Pacifico settentrionale? In base a uno studio pubblicato su mBio, la "colpa" sarebbe di un terremoto avvenuto in Alaska 35 anni prima.
Negli ultimi 20 anni, oltre 300 residenti degli Stati che affacciano sul nord-ovest del Pacifico sono stati infettati dal Cryptococcus gattii. Il fungo si trasmette per inalazione e causa una malattia respiratoria simile alla polmonite, che in alcune circostanze può diffondersi fino al cervello: nel 10% dei casi, l'infezione è letale.
Una serie di sfortunati eventi. Prima di sbarcare in Nord America, il C. gattii era per lo più diffuso in Sud America, Australia e Papua Nuova Guinea. Secondo gli epidemiologi del Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, che hanno condotto il nuovo studio insieme al Translational Genomics Research Institute, a trasportare il fungo così lontano da casa sarebbe stata una catena di eventi, culminata nel più violento terremoto che abbia mai interessato l'emisfero settentrionale.
Il viaggio potrebbe essere iniziato nel 1914 con l'apertura del Canale di Panama, e l'aumento del traffico tra Atlantico e Pacifico: il fungo potrebbe essere passato dai mari del sud a quelli settentrionali attraverso i serbatoi di zavorra delle navi, che all'epoca caricavano e scaricavano acqua da un porto all'altro senza alcuna forma di controllo o trattamento. Le analisi genetiche dei sottotipi di C. gattii campionati in Nord America mostrano infatti che avrebbe avuto origine in Brasile, da 60 a 100 anni prima.
Una bella spinta. A portare poi il fungo fino a riva sarebbe stato uno tsunami generato dal terremoto di magnitudo 9.2 che scosse l'Alaska nel 1964, i cui effetti interessarono tutto il Nord Pacifico. Onde anomale si riversarono sulle zone costiere di British Columbia (Canada), Washington, Oregon e California, le stesse aree interessate, nei decenni seguenti, dall'infezione. Era, appunto, il 1964: perché allora i primi casi di contagio si osservarono alla fine degli anni '90?
Per i ricercatori, il patogeno avrebbe impiegato 35 anni a sviluppare difese più aggressive contro un predatore naturale incontrato dopo il suo approdo nelle terre del Nord: l'ameba. Nel tentativo di sopravvivere nella sua nuova casa, si sarebbe evoluto in varianti più virulente e pericolose per uomini e animali.
Se l'ipotesi degli tsunami come "taxi" per i patogeni regge, sarà allora interessante capire se simili epidemie siano avvenute anche in seguito allo tsunami nell'Oceano Indiano del 2004 e a quello in Giappone del 2011.