Ebbene sì, un suono può uccidere. L’arma “sonica” in grado di farlo la possiede l’Agenzia spaziale europea (Esa). Si tratta di 4 corni presenti nel laboratorio acustico dell’Esa a Noordwijk, nei Paesi Bassi, che in realtà servono a testare i satelliti per vedere se riescono a sopportare le vibrazioni e la pressione sonora provocate dal rumore del lancio.
I corni utilizzano un flusso di azoto gassoso per produrre un suono che supera i 154 decibel, come quello che si sentirebbe stando accanto al motore di un jet in fase di decollo.
Una breve esposizione a questa intensità sonora non è letale (servirebbero 185-200 dB), anche se è sufficiente per far esplodere i timpani. Una esposizione di lunga durata invece può uccidere.
TIMPANI. Con quale meccanismo? Si ritiene che un suono molto intenso possa causare un embolo di aria che dai polmoni arriva al cuore, causando la morte. Ma c’è anche la possibilità che i polmoni possano semplicemente esplodere per la pressione dell’aria prodotta dal suono killer.
Tuttavia non sono solo i suoni molto “rumorosi” a causare problemi: è provato che ultrasuoni ad alta intensità, non udibili dall’orecchio umano, possono causare danni fisici. Lo stesso fanno alcune frequenze molto basse, i cosiddetti infrasuoni.
Se invece desiderate morire (o più correttamente, impazzire) in modo meno rumoroso, provate a farvi rinchiudere nella camera anecoica, il luogo più silenzioso del mondo.
Quando il rumore nuoce alla salute. Tuttavia, senza raggiungere livelli letali, il rumore può far male alla salute. Le statistiche dicono che 125 milioni di europei sono esposti a livelli di rumore eccessivi, collegati ogni anno a 10.000 morti premature, 43.000 ricoveri e ben 900.000 nuovi casi di ipertensione. Lo rileva l’Aea, che sottolinea anche che il primo responsabile dell’inquinamento acustico è il traffico, seguito (a molta distanza) da ferrovie e aeroporti.
Per sanare la situazione, nel 2002 l’Europa ha approvato una direttiva, recepita dall’Italia nel 2005, che prevede come primo passo la realizzazione di mappe che individuino le fonti di inquinamento sul territorio.
Il nostro Paese è però indietro: in 10 anni, appena il 50% della superficie è stato valutato, con punte prossime alla copertura totale in Valle d’Aosta, Toscana e Marche, e inferiori al 5% in provincia di Bolzano e in Sicilia.