Le cicatrici lasciate da un meteorite sulla superficie terrestre sono più che evidenti. Più difficile è capire che cosa accada negli strati inferiori del suolo: i fisici della Duke University (North Carolina, USA) hanno sviluppato una tecnica per visualizzare, in slow motion, gli effetti dell'impatto di un oggetto metallico in un sottosuolo artificiale creato in laboratorio.
Più dure. Lo studio, pubblicato sulla rivista Physical Review Letter, rivela come terra e sabbia sub-superficiali divengano più solide e compatte in risposta agli impatti più forti. Un fenomeno che potrebbe spiegare perché i tentativi di lanciare missili ultrapenetranti semplicemente aumentandone potenza e velocità di impatto si siano finora rivelati vani.
A macchia d'olio. Per simulare gli effetti di un missile o di un meteorite lanciati sulla Terra, i fisici hanno fatto cadere un proiettile metallico dalla punta arrotondata sopra a un mucchio di granuli di plastica, da un'altezza di poco superiore ai 2 metri. Subito dopo l'impatto, l'energia cinetica del proiettile si trasferisce ai granuli e si propaga tra uno e l'altro attraverso una serie di successive collisioni, fino ad essere dissipata.
Colpito! I ricercatori hanno utilizzato perline trasparenti in grado di illuminarsi diversamente in base alla compressione subita. Le aree stressate dall'urto, viste attraverso filtri polarizzati (come quelli degli occhiali da sole) si sono illuminate formando catene di luce simili a quelle disegnate dai fulmini durante un temporale.
Replay. Il proiettile è caduto a una velocità di circa 24 km/h, ma usando granuli di diverso spessore i fisici sono riusciti a ricreare le conseguenze di un impatto di velocità compresa tra i 107 e i 1078 km/h. Una telecamera ad alta velocità ha sezionato l'evento al ritmo di 40 mila frame al secondo. Rivedendo le collisioni in slow motion, i ricercatori hanno notato che gli impatti a velocità minore avevano fatto illuminare una rete di granuli molto rarefatta.
Maggiore contagio. A velocità più alte, la catena di forze è risultata più estesa e l'energia dell'impatto ha viaggiato molto più velocemente di quanto previsto. Tra i granuli pressati si sono formati nuovi punti di contatto, e questo ha finito col rendere il materiale complessivamente più duro e resistente. Come se, spiegano i ricercatori, cercassimo di farci largo a spallate tra la folla di un concerto: probabilmente incontreremmo un muro di persone arrabbiate poco disposte a lasciarci passare.
La ricerca avrà importanti ripercussioni anche in ambito militare. Servirà infatti a studiare missili più penetranti capaci di farsi largo nel sottosuolo e colpire bunker o riserve di armi nascoste.