I resti fossilizzati delle scimmie antropomorfe, cioè somiglianti all'uomo, sono difficili da trovare perché negli ecosistemi in cui vissero, come la foresta tropicale e ambienti simili, è improbabile che gli scheletri si conservino. Per questo motivo abbiamo un "buco di conoscenza" piuttosto ampio nel periodo che va da circa 23 a circa 5 milioni di anni fa, il Miocene, per quanto riguarda questi fossili, che sono poi il gruppo di specie cui apparteniamo anche noi uomini, insieme a gorilla, le due specie di scimpanzé (il comune e il bonobo), l'orango e i gibboni.
Sfortuna preistorica. La scoperta del cranio di un cucciolo di una specie di scimmia (annunciata dallo studio pubblicato su Nature all'inizio di agosto), da molti erroneamente interpretato come un nostro diretto antenato, è tanto più straordinaria se si pensa all'ottimo stato di conservazione (considerato appunto l'ambiente), alle circostanze in cui la fossilizzazione è avvenuta e, più di tutto, alle informazioni che ci può dare.
Il cranio fossile, che è stato assegnato alla (nuova) specie Nyanzapithecus alesi, apparteneva a un cucciolo di circa un anno e mezzo, che sembra sia stato sepolto - e forse ucciso - da un’eruzione vulcanica avvenuta in quello che è oggi il Kenya settentrionale, vicino al lago Turkana.
I ricercatori dell'European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble (Francia) hanno datato il reperto a circa 13 milioni di anni fa, "pochi milioni" di anni prima della divisione, avvenuta circa 7 milioni di anni fa, tra la linea che avrebbe condotto da una parte a scimpanzé, gorilla e oranghi e dall’altra ad australopitechi, Neanderthal e uomo moderno.


Questa divisione è stata un importante spartiacque: da quel momento ci sarebbe stata una vera e propria esplosione di molte altre specie, fino a formare un fitto cespuglio, alla fine del quale sopravvisse solo l'uomo: qui sopra, una ricostruzione di quel popoloso percorso evolutivo.
Lento erbivoro. Sulla base dei resti, il team di antropologi americani, inglesi e tedeschi della spedizione ha dedotto che il piccolo Nyanzapithecus, da adulto, sarebbe probabilmente cresciuto fino a raggiungere 11 chili di peso circa, con un cervello non più grande di 101 millilitri (0,1 litri: quello umano è di circa 1.300 millilitri, ossia 1,3 litri).
A differenza delle scimmie antropomorfe a cui somiglia molto, i gibboni (a cui appartengono molte specie attuali del sud est asiatico) il Nyanzapithecus non doveva essere un veloce acrobata che si muoveva tra le chiome degli alberi, ma doveva piuttosto avere un passo lento. Per chi si chiede com'è possibile arrivare a simili conclusioni sulla base del teschio di un cucciolo, l'ipotesi è stata elaborata dallo studio della struttura dei canali semicircolari, le parti dell’orecchio interno deputate all’equilibrio.
Il cranio del piccolo Nyanzapithecus è il fossile più completo e interessante di un gruppo di scimmie definite Nyanzapithecinae.
Non è un nostro diretto antenato (come si è letto quasi ovunque): possiamo invece considerarlo un suggerimento dell'evoluzione. Svela cioè a che cosa sarebbe potuta somigliare una specie alla base della linea evolutiva che avrebbe, nel giro di qualche milione di anni, condotto all’uomo.