Scienze

La grande avventura della particella di Dio e il futuro della fisica

Guido Tonelli, uno dei padri della scoperta del Bosone di Higgs, svela i segreti dell'universo.

Come è nato esattamente l’universo? Da che cosa è composto, se è vero che il 96% della materia e dell'energia che lo costituisce è “oscura” (cioè invisibile e di natura ignota)? E quale sarà il suo destino, tra qualche miliardo di anni?

Sono queste le grandi domande alle quali la scienza oggi cerca di dare risposta. E una nuova chiave d’accesso per questi e altri misteri potrebbe essere il bosone di Higgs, cioè la famigerata “particella di Dio”, individuata al Cern di Ginevra alla fine del 2011. Lo sostiene Guido Tonelli, uno dei protagonisti della scoperta e portavoce dell’esperimento Cms al Cern di Ginevra al momento di quello storico annuncio. Insieme a lui, a capo dell’esperimento gemello Atlas (l’importanza del risultato imponeva due misurazioni indipendenti), c’era Fabiola Gianotti, oggi direttrice generale del Cern.

Nel suo nuovo libro, oggi in uscita, La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli), Tonelli racconta la grande avventura della scoperta di questa particella. Una storia che parte dalle intuizioni del giovane Enrico Fermi, per poi arrivare agli studi di Robert Brout, François Englert e Peter Higgs. Questi ultimi nel 1964 individuarono il meccanismo che dà la massa a tutte le particelle: la “colpa” è di un cosiddetto campo scalare (il “campo di Higgs”), una sorta di fluido onnipresente con il quale le particelle interagiscono e, così facendo, acquisiscono la loro massa caratteristica. Così i fotoni, cioè le particelle che costituiscono la luce, passano indenni attraverso il campo di Higgs e non hanno massa. Gli elettroni, invece, interagiscono di più (ma poco) e per questo hanno una certa massa (piccola). Mentre i quark, che interagiscono ancora di più, hanno una massa maggiore.

Non solo. Conformemente alle leggi della meccanica quantistica, il campo di Higgs ha una natura “granulare”. E la sua componente minima è il bosone di Higgs, una particella che gli scienziati hanno cercato per decenni, senza riuscire mai a trovarla. Ci provò prima l’esperimento Desy, in Germania. Poi Lep al Cern di Ginevra e Tevatron al Fermilab di Chicago. Ma il successo è arrivato nel 2011 solo grazie all’acceleratore Lhc al Cern di Ginevra, una grande impresa scientifica e tecnologica, che ha richiesto più di dieci anni di lavoro, enormi difficoltà e la collaborazione di migliaia di scienziati e tecnici di ogni nazionalità e angolo del mondo. Tra l’altro con ricadute tecnologiche significative (per esempio il cloud) nella nostra vita di tutti i giorni.

Alla fine il successo è arrivato e ha portato al premio Nobel François Englert e Peter Higgs (Robert Brout era morto da poco), che avevano previsto con esattezza quanto poi è stato osservato.

Con il bosone di Higgs è stato riempito l’ultimo tassello che era rimasto vuoto del Modello Standard, la teoria che descrive il mondo delle particelle elementari e le incasella in una sorta di tavola periodica. Ma il bosone di Higgs, suggerisce Tonelli, potrebbe spiegare anche molti dei misteri del cosmo. Secondo alcune teorie, infatti, questa particella potrebbe aver giocato un ruolo importante nelle primissime fasi dell’universo, quando si è verificata un’espansione iperaccelerata chiamata inflazione (un fenomeno previsto da gran parte delle teorie cosmologiche, perché spiegherebbe l’omogeneità dell’universo visibile): il bosone potrebbe aver provocato l’inflazione, o quanto meno averla agevolata.

Anche oggi, tra l’altro, l’universo si espande in modo accelerato, sebbene a un ritmo decisamente inferiore rispetto all’inflazione. Ma anche in questo caso potrebbe esserci lo zampino del bosone di Higgs, che dunque potrebbe giocare un ruolo importante nel determinare il destino dell’universo.

C’è poi la questione dell’asimmetria tra materia e antimateria, che subito dopo il Big Bang erano presenti in quantità uguali (o quasi). Ancora una volta, può essere stata una leggera “preferenza” del bosone di Higgs per la materia ad aver consentito a quest’ultima di sopravvivere ai primi millisecondi di vita dell’universo, mentre l’antimateria (disintegrandosi con la materia) è completamente sparita.

Per finire, c’è la materia oscura, la cui esistenza si deduce dalle osservazioni astronomiche (si osserva l’effetto gravitazionale di una massa che, però, non si vede). L’Lhc di Ginevra, nei prossimi anni, continuerà la caccia alle presunte particelle di questa forma di materia invisibile (a cominciare dalle cosiddette “particelle supersimmetriche”). E, anche in questo caso, il bosone di Higgs potrebbe rivelarsi determinante. Se queste nuove particelle esistono, infatti, non interagiscono praticamente mai con la materia che conosciamo… interagiscono, però, con il bosone di Higgs, perché è così che – come tutte le altre – acquistano la loro massa. Ecco quindi che, ancora una volta, il bosone di Higgs può risultare la chiave che ci permetterà di conoscere nuovi e profondi aspetti dell’universo. Se così fosse, commenta Tonelli, l’ultimo arrivato del Modello Standard meriterebbe davvero l’appellativo di “particella di Dio”. A. P.

17 febbraio 2016
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