Un gruppo di ricercatori provenienti da alcuni istituti americani, guidati da Craig Venter, è riuscito a sintetizzare un microrganismo con un patrimonio genetico costituito da pochissimi geni: giusto quelli senza i quali non riuscirebbe a vivere.
La cellula potrebbe essere utile, secondo i ricercatori, come piattaforma per studiare le funzioni della vita, oppure come scheletro minimo cui aggiungere altri geni per fornire al batterio le proprietà desiderate. Il progetto del genoma minimo è un’idea dell’imprenditore/ricercatore americano Craig Venter, colui che ha contribuito a decrittare il genoma umano (2003).
Indispensabili. Si sapeva già da tempo che parte più o meno ampia del Dna dei viventi è costituita da geni ridondanti, utili ma non indispensabili, senza i quali l’organismo continua a vivere. Possono essere frammenti di materiale genetico che provengono dalla storia della specie, e che a volte hanno subito mutazioni fino a diventare inattivi, ma che non sono scomparsi dal genoma perché non fanno alcun danno. Oppure geni non essenziali, attivati solo in condizioni particolari e che non sempre si verificano nella vita di una specie.
Venter ritiene che riuscire a isolare i soli geni responsabili del meccanismo di una cellula molto semplice, come un batterio, possa servire a studiare le funzioni originali e principali degli esseri viventi.
Vita artificiale? Nel 2010 Venter ha prodotto, con raffinate tecniche genomiche, un "nuovo" batterio inserendo, nella cellula svuotata di un batterio, geni sintetici (creati cioè in laboratorio) di Mycoplasma mycoides: era il M. mycoides JCVI-syn 1.0, soprannominato Synthia.
Synthia 1.0 ha un genoma che “pesa” circa un milione di coppie di basi - la coppia di basi è l’unità di misura della lunghezza di un tratto di DNA - e contiene 901 geni.
In questo nuovo lavoro, cui è dedicato un articolo sulla rivista Science, il gruppo di ricercatori ha tolto un tratto di Dna dopo l’altro a esemplari della cellula 1.0, arrivando infine a isolare i frammenti indispensabili alla vita, e in questo modo hanno raggiunto quello che ritengono sia la “cellula minima”.
Vita 3.0. Il risultato, M. mycoides JCVI-syn 3.0, è costituito da 531.000 coppie di basi e 473 geni, "configurazione" che gli consente appunto di vivere e replicarsi. La maggior percentuale di geni serve alla cellula per esprimere le informazioni del genoma, passare cioè dal Dna alle proteine. Alcuni costruiscono la membrana cellulare, altri servono al metabolismo.
La cosa sorprendente è che, secondo i ricercatori, ci sono ancora 149 geni indispensabili ma di cui non si conosce con precisione lo scopo, anche se geni simili sono stati trovati in altri organismi.
Affari con i batteri. Il responsabile del gruppo di ricerca, Craig Venter, è noto per essere uno scienziato brillante e attento alle implicazioni di "marketing" delle sue ricerche. Per questo propone che la nuova cellula dal genoma minimo e, potenzialmente, dai molti usi, possa trovare applicazione non solo nel campo della ricerca di base.
Synthia 3.0 può infatti essere considerata una specie di chassis essenziale, uno scaffale di cui modificare i pezzi per sperimentare e studiare. Per esempio, quali sono le funzioni essenziali delle prime cellule viventi e quale sia l’ordine in cui i geni “lavorano” meglio. Oppure può essere uno "scheletro vivente" su cui aggiungere altri geni per ottenere funzioni utili, come degradare il petrolio quando avvengono incidenti, oppure sostanze interessanti, come i farmaci. Ma non c'è virtualmente alcun limite, se non tecnologico, allo sviluppo di cellule progettate gene per gene, per qualunque scopo, da ingegneri genetici del futuro.
Vedi anche