Nell'arco di 200.000 anni nella Gola di Olduvai (o Oldupai), uno dei siti di paleoantropologia più importanti al mondo situato nel nord della Tanzania, si susseguirono condizioni climatiche e geologiche molto diverse, a cui i più arcaici esemplari del genere Homo seppero di volta in volta adeguarsi. Uno studio pubblicato su Nature Communications ricostruisce le condizioni ambientali che i primi occupanti di Olduvai dovettero sopportare, e rivela uno spirito di adattamento molto precoce anche di fronte a cambiamenti ecologici eccezionali, come quelli portati dalle eruzioni vulcaniche.
I primi passi dell'uomo. La Gola di Olduvai è un avvallamento lungo 48 km nella parte orientale della pianura di Serengeti. Milioni di anni fa, questo paesaggio oggi semidesertico era molto variegato e comprendeva aree boscose e a savana, zone umide ricche di piante acquatiche, corsi d'acqua che garantivano alla vita animale abbondanti risorse vegetali.
In questo habitat si aggirava, 2 milioni di anni fa, l'Australopithecus boisei o Paranthropus boisei, un ominide il cui cranio fu riportato alla luce dall'archeologa britannica Mary Leakey; qui sono venuti alla luce frammenti di cranio di Homo habilis, una specie più antica dell'Homo erectus di un milione di anni; e non lontano dalla gola furono trovate le orme di Laetoli, impronte fossili perfettamente conservate lasciate da ominidi nella cenere vulcanica 3 milioni e mezzo di anni fa.
Una fetta di storia. Gli scienziati del Max Planck Institute for the Science of Human History (Germania) e delle Università di Calgary (Canada) e Dar es Salaam (Tanzania), hanno unito le forze negli scavi di Ewass Oldupa (che significa "la strada verso la gola", nel linguaggio locale), per riportare alla luce i più antichi utensili in pietra mai ritrovati ad Olduvai, risalenti a circa 2 milioni di anni fa. Dalle operazioni sono emersi inotre sedimenti e depositi vulcanici compatibili con la presenza di ominidi nell'area di Ewass Oldupa per 200.000 anni, tra i 2 e gli 1,8 milioni di anni fa.
L'animale più resiliente. La presenza di fossili di suini selvatici, ippopotami, pantere, iene, leoni, primati, rettili e uccelli ha aiutato a ricostruire le caratteristiche degli habitat che si susseguirono nell'area in quei 200.000 anni: sistemi lacustri e fluviali con palmeti sulle rive, ma anche mosaici di foresta e savana, steppe aride e spoglie, paesaggi bruciati da incendi ed eruzioni, prati di felci. L'uomo abitò, seppur non in modo continuativo, tutti questi ambienti, arrangiandosi ogni volta a sfruttare la terra per sopravvivere.
Secondo gli autori dello studio, si tratta di uno dei più antichi esempi di adattamento anche a condizioni ecologiche e geologiche altamente instabili.
sasso vincente non si cambia. Già due milioni di anni fa, gli ominidi estinti del genere Homo - forse l'Homo habilis, i cui fossili sono stati scoperti a 350 metri da Ewass Oldupa - sapevano ricavare risorse da un'ampia gamma di habitat naturali, e sfruttavano i loro versatili strumenti in pietra per lavorare piante e macellare animali. Un dato interessante è che nonostante l'alternanza di condizioni ambientali, gli utensili utilizzati non subirono rivoluzioni sostanziali: la tecnologia degli strumenti in pietra di tipo oldovaiano, costruite mediante la scheggiatura di ciottoli per ottenere lame affilate e taglienti, si dimostrò capace di sfidare vegetazione, climi e animali anche molto diversi.