Mi butto di testa o a candela? Quello scoglio non sarà troppo alto? Nelle vostre valutazioni su tuffi più o meno azzardati, quest'estate, potete tenere conto di una nuova ricerca di biomeccanica, che ha valutato la probabilità di infortunio quando un tuffatore non professionista impatta con l'acqua da varie altezze e in diverse posizioni. I risultati costituiscono una guida "scientificamente provata" per non rinunciare all'adrenalina di questo gesto, facendolo in sicurezza.
Le altezze da non superare. In base allo studio pubblicato su Science Advances, per i tuffatori non allenati il rischio di trauma alla spina dorsale o al collo è probabile sopra gli 8 metri, se si sceglie di buttarsi direttamente di testa (con le braccia lungo i fianchi); il rischio di rottura della clavicola è probabile sopra i 12 metri se si decide di tuffarsi di testa, ma entrando prima in acqua con le mani; infine, il rischio di lesioni al ginocchio è probabile sopra i 15 metri, se ci si butta entrando di piedi.
Questi sono i limiti di altezza da non superare in base alla posizione scelta per i tuffi (i tuffatori professionisti, allenati a contrarre muscoli specifici per minimizzare l'urto, si lanciano anche da 58 metri di altezza, ma questo è un altro discorso).
Muro d'acqua. «L'acqua è mille volte più densa dell'aria, per cui ci si sta muovendo da un mezzo molto diluito a un mezzo molto denso, e si è destinati a sopportare un impatto molto forte», spiega Sunghwan Jung, docente di ingegneria biologica e ambientale della Cornell University (New York). «Gli esseri umani possono scegliere come tuffarsi, dunque volevamo capire gli effetti della posizione che si usa per i tuffi. Ma anche arrivare a una teoria più generale su come oggetti di forme diverse impattano con l'acqua».
I ricercatori hanno fatto tuffare da varie altezze copie stampate in 3D di busto e testa umani, o di busto e testa umani con le braccia protese in avanti, oppure ancora di piedi umani. Hanno fatto lo stesso con modelli 3D del capo di una focena del porto (Phocoena phocoena: un piccolo mammifero oceanico simile a un delfino), di un becco di sula bassana (Morus bassanus, un grande uccello marino) e della zampa di un basilisco (una specie di lucertola). In questo modo hanno esaminato l'impatto di oggetti ricurvi, appuntiti o piatti con la superficie dell'acqua.
Meglio a candela. Hanno inoltre confrontato l'entità dell'impatto con la forza che muscoli, legamenti e ossa umane possono sopportare, per ricavare la probabilità di lesioni di diverso tipo - alla colonna vertebrale, al ginocchio o alla clavicola - a seconda della posizione con cui si entra in acqua.
Per l'uomo, la scelta più sicura è tuffarsi "di piedi", soprattutto se ci si butta da molto in alto. Ma è interessante anche vedere come l'anatomia animale si sia evoluta per minimizzare il rischio di lesioni, per gli esemplari che si tuffano spesso. Per esempio, i delfini hanno vertebre cervicali fuse che ammortizzano il colpo sulla colonna vertebrale quando passano dall'aria all'acqua.
Macchine più resistenti. Il lavoro è interessante anche dal punto di vista ingegneristico: non accade spesso di lavorare su veicoli, come per esempio droni, che passino da un mezzo all'altro, dall'aria all'acqua o viceversa. Studi di questo tipo aiuteranno a studiarne meglio il design.