Il 60 per cento delle riserve di petrolio e gas e il 90 per cento del carbone devono rimanere nel sottosuolo se vogliamo contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C, come suggerito dagli accordi internazionali di Parigi (COP21, 2015). In estrema sintesi, è questa la conclusione di uno studio pubblicato su Nature, basato su di un'attenta analisi dell'offerta e della domanda globale di energia.
È una valutazione "terrificante, ma realistica, di ciò che dice la ricerca scientifica a tal proposito", affermano i ricercatori. Lo scenario del futuro dunque, lascia all'estrazione dei combustibili fossili molto meno spazio rispetto a quanto calcolato, e decisamente meno spazio anche rispetto ai "desiderata" dei produttori e dell'industria. A livello globale, hanno calcolato i ricercatori, la produzione di combustibili fossili avrebbe dovuto raggiungere il picco nel 2020 ed essere in costante calo del 3 per cento all'anno fino al 2050.
«Durante il periodo della pandemia di covid abbiamo assistito a un forte calo della domanda e della produzione, che ora si stanno riprendendo molto velocemente», afferma Steve Pye (UCL Energy Institute, Londra), uno dei ricercatori, mentre James Price (UCL) va più a fondo: «Il nostro studio si basa su un modello impostato per soddisfare le richieste di energia da ora fino al 2100 senza emettere troppa anidride carbonica. Il risultato ci dice che è necessaria una rapida riduzione dell'uso dei combustibili fossili, lasciandone il più possibile nel sottosuolo».
Fermare la ricerca dei combustibili fossili. Lo studio dimostra anche che il calo della produzione di petrolio e gas richiesto a livello globale entro il 2050 - per attenersi alle emissioni di carbonio previste per quell'anno - lo si può ottenere solo se molte regioni del Pianeta arrivano al picco di produzione entro pochissimi anni. Molti progetti di estrazione di combustibili fossili già pianificati o in attività rischiano di compromettere la possibilità di raggiungere i limiti concordati a livello internazionale sul riscaldamento globale stabiliti dagli accordi di Parigi del 2015. I combustibili fossili, dunque, non solo non vanno più estratti, ma non si dovrebbero nemmeno più cercare. «È un quadro desolante», affermano gli scienziati, «ma è molto probabilmente persino una sottovalutazione di ciò che è necessario fare».
Tante incertezze. Sottovalutazione perché il bilancio del carbonio, così com'è stato determinato col modello messo in atto dai ricercatori, non darebbe la certezza assoluta che il Pianeta non supererà i fatidici 1,5 °C, ma solo una probabilità del 50 per cento che non avvenga.
Questo perché sono ancora poco note le modalità con le quali reagisce il clima a variazioni importanti - come la riduzione di anidride carbonica nell'atmosfera - in tempi molto limitati. È per questo che «per garantire una maggiore certezza che il clima si stabilizzi alla temperatura attuale, è indispensabile che il carbonio rimanga dov'è, ossia nel terreno».
I ricercatori sottolineano come alcune nazioni stiano lavorando seriamente in tal senso, anche con audaci politiche nazionali, inclusa, ad esempio, una concordanza d'intenti voluta dalla Costa Rica e dalla Danimarca che verrà presentata alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Glasgow (COP26, ottobre/novembre 2021), che chiederà agli Stati membri di bloccare le esplorazioni di combustibili fossili ancora presenti nel sottosuolo.