Scienze

Se ricevessimo un messaggio alieno, dovremmo trattarlo come spam?

Chi ci dice che un tentativo di contatto di E.T. non contenga virus o contenuti che ci portino all'autodistruzione? Uno studio contempla l'ipotesi che lo si possa trattare come una mail sospetta.

Lo aspettiamo da decenni, ma se infine dovesse arrivare, un eventuale messaggio alieno potrebbe costituire un serio rischio per l'umanità: per la nostra sopravvivenza, potrebbe rendersi necessario trattarlo alla stregua di un messaggio di spam, o di un sospetto virus pronto altamente distruttivo.

A suggerire questo comportamento preventivo è uno studio comparso su arXiv, che si inserisce nell'antico dibattito sull'opportunità o meno di provare a contattare E.T.: in fondo, l'ipotesi che una civiltà tecnologicamente abbastanza avanzata da ricevere o inviare un messaggio ai terrestri possa avere mire espansionistiche e ostili non è così campata per aria.

offensiva a distanza. Un eventuale primo contatto potrebbe danneggiarci nel formato (per esempio perché pensato per formattare o far crashare i nostri computer) o nel contenuto: potrebbe contenere istruzioni per generare panico o comportamenti autodistruttivi. Del resto, per una civiltà ostile sarebbe più conveniente annientarci da lontano, che invaderci con una flotta.

Attacco coordinato. Secondo gli autori del lavoro - due scienziati del Sonneberg Observatory in Germania e dell'Università delle Hawaii - un messaggio "da fuori" andrebbe quindi prima controllato e decontaminato, ma anche questo processo potrebbe rivelarsi pieno di insidie. Intanto, perché in base al protocollo del SETI, un sospetto segnale extraterrestre dovrebbe essere sottoposto a un gran numero di istituzioni scientifiche per una verifica di attendibilità. E qui il primo problema: se davvero fosse pericoloso, non colpirebbe in un unico punto isolato, ma in più luoghi contemporaneamente.

Maneggiare con cura. Si porrebbe poi la questione di come leggerlo senza rischiare un'infezione da malware. Si potrebbe pensare di analizzarlo stampandolo su carta, offline: nel caso dei falsi messaggi del SETI, una sorta di esercitazione per capire se siamo pronti a decifrare i segnali di E.T., alcune parti dei codici cifrati disegnano figure o mappe pixelate e in bianco e nero. Stampando questi codici si potrebbe già cogliere questa visione di insieme.

Tuttavia nel caso di un messaggio più complesso servirebbe necessariamente l'aiuto di un supercomputer: dovremmo allora utilizzare un macchina capace di condurre l'analisi in quarantena, con pochissimi canali di comunicazione con l'esterno. Un'eventuale intelligenza artificiale malevola potrebbe così restare confinata - sempre che non riesca a convincere quelle "di guardia" a lasciarla andare (un software davvero avanzato lo farebbe senza troppi problemi).

Occhi aperti. L'unica strategia preventiva possibile sembra mantenere lo stesso atteggiamento vigile che abbiamo con i messaggi online. Abbiamo imparato che per trasmettere buone intenzioni agli interlocutori extraterrestri occorrono messaggi semplici: dovremmo allora diffidare da complessi codici o pesanti allegati, così come dalle promesse sospette "strillate" in oggetto.

In fondo, ci stiamo in parte già allenando sul web.

13 febbraio 2018 Elisabetta Intini
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