Le donne sono sottorappresentate nel mondo scientifico, hanno carriere più in salita nell'ambiente accademico e - spesso - buste paga più leggere dei colleghi. Se ne parla distrattamente ogni anno in occasione della consegna dei Nobel, un riconoscimento che premia nella grande maggioranza dei casi professori maschi, bianchi e in età avanzata: il profilo-tipo dello scienziato influente.
Ora un articolo pubblicato sul British Medical Journal sottolinea un'altra componente meno conosciuta della disparità di genere nel mondo della ricerca: gli scienziati maschi sono statisticamente più inclini delle donne a tessere le lodi del proprio lavoro ed enfatizzarne l'importanza negli articoli scientifici. Non si tratta di una semplice questione di vanità: i paper presentati come più innovativi e rivoluzionari hanno anche maggiori probabilità di essere citati - e il numero di citazioni è una chiave di accesso fondamentale a finanziamenti e salti di carriera.
Lodi sperticate. I ricercatori delle Università di Harvard e di Yale (USA) e dell'Università di Mannheim, Germania, hanno analizzato il genere degli autori di oltre 6 milioni di studi di scienze biologiche pubblicati dal 2002 al 2017, prendendo in considerazione (nei casi di ricerche a più mani) gli autori a primo e ultimo nome, che spesso si dividono la maggior parte del lavoro. Quindi hanno analizzato l'uso di termini elogiativi riferiti agli studi, come "nuovo", "unico", "notevole" e "senza precedenti", nei titoli e negli abstract (i riassunti) che descrivevano le ricerche. Il termine positivo usato più spesso era "nuovo", e gli uomini l'hanno utilizzato il 59% di volte in più rispetto alle donne.
In generale, a parità di risultati e di argomenti di ricerca trattati, gli uomini hanno enfatizzato molto più spesso la portata innovativa del loro lavoro. Negli articoli scientifici più citati, i team al maschile ricorrono ad aggettivi che lodano le loro ricerche nel 21% in più dei casi. Chi opera nel mondo della ricerca usa titoli ed abstract per decidere quali lavori leggere o citare nei propri: non a caso, le presentazioni più positive erano associate al 9,4% in più di citazioni da parte dei colleghi e al 13% in più di citazioni su riviste cliniche ad alto impatto.
Basso profilo. Non è certo una colpa saper valorizzare il proprio lavoro, e sappiamo da tempo che - anche al di fuori dell'ambito accademico - gli uomini utilizzano un linguaggio più assertivo (teso all'affermazione di sé, che esprime chiaramente il proprio punto di vista) rispetto alle donne.
Piuttosto, ci sarebbe da chiedersi: le donne scelgono consapevolmente di mantenersi su termini "neutri" nel presentare la propria ricerca, censurando quelli troppo positivi per evitare critiche? Oppure sono spinte a farlo dai diversi standard imposti dai revisori e dai direttori delle riviste scientifiche sulle quali vogliono pubblicare? La ricerca non dà risposte su questo, ma una possibilità non esclude l'altra.