Idee per cambiare il mondo
Un team di ricercatori della Stanford University guidati dal bioingegnere Stephen Quake ha messo a punto un rivoluzionario processo che permette il sequenziamento completo del genoma di un feto a partire da un semplice esame del sangue della madre. Questo test, che potrebbe sostituire procedure ben più invasive, come il prelievo di liquido amniotico o di campioni di tessuto placentare, dovrebbe consentire l'identificazione certa di oltre 3500 anomalie genetiche come la sindrome di Down o la fibrosi cistica.
L'esame, pur se banale per chi lo subisce, è in realtà molto complesso e parte dall'identificazione all'interno del plasma materno (condiviso tra madre e figlio) dei due differenti genomi.
Il procedimento è statistico e si basa sulla separazione degli aplotipi materni da quelli del feto, ossia di combinazioni di geni che su un cromosoma occupano posizioni ben precise e che, solitamente, si ereditano da uno dei genitori: se quelli del feto sono diversi da quelli della madre, o sono ereditati dal padre oppure si tratta di anomalie.
Prima di poter parlare di diffusione del metodo, il primo obiettivo dei ricercatori sarà quello di mettere a punto test più affidabili e precisi dal punto di vista dei risultati. E, comunque, resta aperta la questione etica sulle scelte da intraprendere nel caso in cui il test confermasse anomalie genetiche del nascituro.
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# MULTIMEDIA I segreti del DNA
Foto: © Photo: REUTERS/Kim Kyung Hoon
Prevenire il rischio di Alzheimer con una pillola, come si fa per il colesterolo troppo alto, potrebbe presto diventare realtà. Gli scienziati hanno infatti messo a punto un farmaco capace di combattere l'amiloide, una proteina sospettata di essere una delle cause scatenanti della demenza degenerativa invalidante.
Nel 2013 dovrebbe iniziare, in Colombia, la sperimentazione del farmaco su 300 volontari con diversi gradi di parentela tra loro: in questo gruppo famigliare è infatti presente una forma di Alzeheimer particolarmente aggressiva, che colpisce a 50-60 anni di età e che può essere intercettata con un test genetico.
I partecipanti alla sperimentazione saranno divisi in 3 gruppi: uno riceverà settimanalmente una dose del nuovo farmaco per 50 anni, a un altro sarà somministrato un placebo e il terzo farà da gruppo di controllo. Ogni mese i volontari si sottoporranno a risonanza magnetica per controllare l'eventuale insorgenza della malattia e permettere ai ricercatori di seguirne il decorso.
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# GALLERY Viaggio nel cervello
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L'idea di minuscoli robot volanti che controllano il traffico, effettuano, non visti, ricognizioni dentro edifici occupati da terroristi o sorvegliano dall'alto le mosse dei nemici in guerra sembra tratta da un film di fantascienza. In realtà scienziati di tutto il mondo lavorano da anni allo sviluppo di mini droni armati di telecamere e strumenti di sorveglianza, da utilizzare in teatri di guerra ma anche in ambito scientifico, industriale e civile.
Aeromodelli teleguidati o dotati di GPS e autopilota sono già comunemente impiegati per ispezionare quotidianamente chilometri di oledodotti, per pattugliare confini tra stati (per esempio quello tra Messico e USA) e per mappare la deforestazione.
L'impiego di questi dispositivi è considerato strategico, tant'è che l'esercito americano ha un reparto dedicato esclusivamente al loro sviluppo: è il MAV, Micro Air Veichles Research Project.
Per realizzare questi piccoli gioielli tecnologici gli scienziati si ispirano alla natura, per esempio a insetti o a uccelli, come i colibrì, piccoli e con doti di volo da fare invidia al più sofisticato degli aerei da combattimento. L'impiego di questi robot suscita comunque numerosi interrogativi, e non solamente per le potenzialità in un conflitto armato o per atti di terrorismo. Come non ipotizzare, infatti, il loro utilizzo a fini di controllo sociale in Paesi dove Leggi e democrazia sono deboli? E, più in generale, potrebbero anche mettere in discussione il concetto di privacy per tutti noi, ridotti a soggetti potenzialmente sorvegliabili 24 ore su 24 da un esercito di macchine invisibili.
# VIDEO Prototipi all'opera.
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# GALLERY Darpa: le Olimpiadi degli automi più agili e forti del mondo
# ROBOT SU FOCUS.IT Gallery, multimedia, notizie, video...
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Quanto inquinano una lattina di birra o un tablet di ultima generazione? È la domanda che guida le scelte di acquisto di un sempre crescente numero di consumatori. Ma trovare una riposta univoca e precisa a questo interrogativo non è sempre facile: si possono infatti considerare i costi energetici di produzione, le emissioni di CO2 dell'intera filiera che li porta dal produttore all'utente finale, le risorse impiegate, il volume e la durata dei rifiuti che genereranno al termine della loro vita utile...
Per mettere ordine in questa varietà di informazioni, da ormai 10 anni un consorzio formato da 80 grandi multinazionali - tra cui Coca Cola, Disney, Walmart, Dell e molte altre - e 10 università sta lavorando alla messa a punto di un indice di sostenibilità complessivo dei beni di consumo. È il Sustainability Consortium, che pochi mesi fa ha presentato i criteri per la valutazione dell'indice di sostenibilità di un primo paniere di 100 prodotti, che spaziano dai cerali per la prima colazione ai detersivi ai televisori.
Obiettivo di questa operazione è quello di coivolgere nella riduzione dell'impatto ambientale tutti gli attori della filiera produttiva: Walmart, per esempio, una delle più importante catene americane della grande distribuzione, ha deciso di valutare i responsabili degli acquisti delle diverse categorie merceologiche in base all'indice di sostenibilità dei prodotti selezionati e messi a scaffale.
E Dell ha chiesto ai propri fornitori di ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra provocate dalla produzione di monitor LCD.
A differenza degli indicatori di impatto ambientale usati oggi, che si basano su informazioni pubbliche, l'indice del Sustainability Consortium prenderà in considerazioni dati riservati, di cui solo le aziende produttrici sono a conoscenza, con lo scopo di creare un indicatore completo e preciso. Sarà anche veritiero?
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Nel giro di qualche anno pacemaker, pompe per l'insulina e altri dispositivi elettronici che vengono normalmente impiantati nei pazienti non avranno più bisogno di batterie ma funzioneranno con lo stesso combustibile che alimenta il corpo umano: il glucosio. Gli apparecchi di nuova generazione saranno infatti alimentati da celle a biocombustibile, all'interno delle quali un anodo “strapperà” un elettrone al glucosio presente nel sangue e nei fluidi cellulari. E l'elettrone, migrando verso il catodo, genererà un flusso di corrente.
La biocella più evoluta è stata realizzata quest'anno nei laboratori del MIT da Rahul Sarpeshkar: è fatta di platino e silicone e utilizza il fluido cerebrospinale, particolarmente ricco di glucosio, per fornire energia a uno stimolatore cerebrale.
Il problema più grande in questo tipo di impianti è al momento la biocompatibilità, ma gli esperti sono fiduciosi. Secondo Sarpeshkar i primi dispositivi commerciali saranno pronti nel giro di una decina di anni: quelli realizzati fino a oggi non sono ancora abbastanza potenti da poter alimentare un pacemaker o un impianto cocleare. La stessa tecnologia potrebbe inoltre, in tempi analoghi, essere utilizzata per alimentare nanorobot in grado di veicolare piccole quantità di farmaci in zone ben identificate del corpo umano.
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# GALLERY L'invasione delle nano macchine
Foto: © Photo: REUTERS/Jorge Lopez
John Rogers, ingegnere dei materiali
presso l'Università dell'Illinois, ha sviluppato un sistema di
monitoraggio clinico composto da sensori, microchip e trasmettitori
wireless così piccoli e flessibili da poter essere confezionati
all'interno di un cerotto e indossati riducendo al minimo il fastidio
per il paziente oltre i tempi e i costi ospedalieri.
Cuore del sistema sono le connessioni
in metallo e silicone tra le varie parti del dispositivo, realizzate
con tecnologie speciali che rendono possibile veri e propri
cablaggi elastici, resistenti alle rotture meccaniche causate dai
movimenti del corpo.
Questi rilevatori di nuova generazione
sembrano particolarmente interessanti anche per le applicazioni nello sport:
la Rebook, per esempio, sta lavorando a capi d'abbigliamento con
cardio-frequenzimetro integrato nei tessuti, così come l'esercito
americano, che sta testando tute e zaini dotati di sensori per
monitorare le condizioni di salute dei soldati.
Il debutto ufficiale di questo nuovo dispositivo è
avvenuto lo scorso aprile durante una gara automobilistica del
campionato NASCAR: il pilota Paulie Harraka ha gareggiato con un
cerotto elettronico che ha permesso allo staff medico di monitorare
le sue condizioni di idratazione durante le lunghe ore della
competizione.
Secondo gli scienziati, in un prossimo
futuro i micro rilevatori potranno essere inseriti direttamente
nel cuore o nel cervello dei pazienti per tenerne sotto controllo i
parametri vitali.
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# GALLERY Tatuaggi, piercing e body art
Foto: © Photo: courtesy of John Rogers
Il DNA appartiene al passato, o quasi. Un team di biologi di Cambridge guidato da Philip Holliger ha messo a punto una molecola artificiale, l'XNA (acido xeno nucleico), in grado di registrare e replicare le informazioni genetiche di una forma di vita proprio come fanno il DNA e l'RNA sul quale si basano la flora e la fauna che popolano il nostro pianeta.
La molecola sintetizzata da Holliger e dai suoi colleghi ha una struttura a doppia elica simile a quella del DNA e al posto delle 4 basi azotate - adenina, citosina, guanina, timina - utilizza nuove molecole, artificiali. I ricercatori britannici hanno inoltre sviluppato un insieme di enzimi che consente all'XNA di comportarsi come un sistema genetico completo.
Grazie a queste nuove sostanze i biologi sono riusciti a intervenire sulla polimerasi, il processo che all'interno della cellula "smonta" la molecola di DNA consentendo così l'accesso alle informazioni scritte nei geni e che è alla base della riproduzione. Gli enzimi di Holliger codificano il DNA in XNA e viceversa, assicurando così la perfetta riproduzione delle informazioni da una cellula all'altra.
Il prossimo obiettivo dei ricercatori è quello di sostituire il DNA con l'XNA in un organismo vivente unicellulare semplice, per esempio un batterio.
In questo modo i ricercatori potrebbero per esempio lavorare su forme di vita pericolose, come virus e batteri patogeni, sicuri che al di fuori del laboratorio non potrbbero riprodursi perché privi dei necessari enzimi.
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Controllati, spiati, seguiti minuto per minuto, spostamento per spostamento. Sanno chi sono i nostri amici, dove ci piace mangiare, qual è il nostro supermercato preferito, ogni quanto facciamo la spesa e che cosa compriamo. Sanno anche dove lavoriamo e dove portiamo a scuola i nostri figli.
Chi è che sa tutto di noi? Gli operatori telefonici. E i produttori dei nostri smartphone, le grandi aziende del web, Google, Facebook... Già, perché il nostro telefonino di ultima generazione, comodo, divertente, è un grande impiccione e trasmette in continuazione tutto ciò che sa dei nostri spostamenti e delle nostre attività online a un gran numero di aziende: tra queste Apple, i social network, i provider di servizi telefonici e di connettività mobile.
Il fatto è che tutti i dettagli della nostra vita - quella materiale e quotidiana così come quella online, tutte queste informazioni, opportunamente agglomerate e rese anonime, valgono oro per gli operatori pubblicitari, che in questo modo sono in grado di proporci la pubblicità giusta al momento, e nel luogo, in cui siamo probabilmente più sensibili.
La faccia buona della medaglia. Le stesse informazioni, però, possono aiutare gli scienziati a capire come si spostano le persone e, di conseguenza, a sviluppare metodi più efficaci per prevenire o contenere le epidemie, per esempio. Possono farlo? Possono accedere a queste informazioni e usarle? Sì, a patto che rispettino le leggi sulla privacy informando il consumatore sui dati e sul loro utilizzo: un comportamento virtuoso che peraltro sembra produrre ottimi risultati. La propensione ad autorizzare l'utilizzo di dati personali è infatti maggiore se l'interpellato ha la sensazione di avere il controllo della situazione.
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Una schiuma iniettabile di microbolle di ossigeno potrebbe rivelarsi un formidabile salva-vita in tutti i casi di soffocamento, sia meccanico (per esempio un pezzo di cibo che si è infilato nella trachea), sia provocato da asma o allergie.
Basta infatti che la respirazione si blocchi per qualche minuto per ridurre l'apporto di ossigeno a tutto il corpo con il rischio di danni cerebrali e cellulari gravi e permanenti.
Questa nuova sostanza è stata messa a punto da John Kheir, un cardiologo del Boston Children Hospital, insieme a un team di colleghi esperti in nanotecnologie applicate alla medicina.
La schiuma di Kheir è fatta da microbolle di ossigeno del diametro di 4 micron tenute insieme da un film lipidico spesso appena qualche nanometro.
All'interno di queste bollicine la pressione del gas è più elevata di quella del flusso sanguigno: in questo modo le bolle, quando entrano in contatto con i globuli rossi, scoppiano cedendo loro il prezioso carico di ossigeno.
Dai test effettuati fino a oggi, in assenza totale di respirazione, la schiuma offirebbe un margine di circa 15 minuti in cui non si manifesterebbero danni al cervello e agli organi. Al momento il farmaco è in fase di studio, perché per poter essere iniettato all'interno del flusso sanguigno deve essere accompagnato da dosi massicce di liquidi che potrebbero causare problemi di altro tipo, come edemi o arresti cardiaci.
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