L'idea di una nuova generazione di robot in grado di riprodursi autonomamente come organismi biologici è un po' inquietante e apre lo spiraglio a scenari da film di fantascienza. Eppure un team di scienziati composto da ricercatori della Tuft University, di Harvard e dell'Università del Vermont è recentemente riuscito in questa straordinaria impresa.
Cellule programmabili. Ma se già vi state immaginando un mondo di replicanti alla Blade Runner siete, per fortuna, fuori strada. I robot oggetto dello studio sono microscopiche sfere composte da poche migliaia di cellule di rana, che sono state "programmate" per riprodursi identiche a se stesse.
Le sfere assomigliano a minuscoli Pac-Man con la bocca aperta e sono formate da circa 4-6.000 cellule prelevate dalla pelle di un embrione di Xenopus laevis, una rana comunemente utilizzata negli studi di biologia. Grazie alla struttura ciliata, questi aggregati cellulari sono in grado di muoversi nel loro terreno di coltura, raccogliendo altre cellule che incontrano lungo il percorso e aggregandole in altre sferette a loro volta in grado di muoversi.
L'aiuto del computer. I ricercatori hanno utilizzato un sistema di intelligenza artificiale per simulare varie forme dell'aggregato iniziale, scoprendo che la conformazione a C era quella che garantiva la miglior capacità di replicarsi. Questi organismi non sono però in grado di riprodursi all'infinito: dopo quattro generazioni sembrano perdere la capacità di replicarsi.
A che cosa possono servire dei robot biologici con queste caratteristiche? Secondo i ricercatori, la loro applicazione più naturale sarà in ambito biomedicale: le biomacchine potranno infatti essere programmate per assemblarsi in tessuti con forma e struttura predefinite o potranno essere istruiti per portare farmaci in maniera estremamente mirata, a livello di singola cellula.