Adagiato sul fondale dell'Oceano Atlantico, a 3.800 metri di profondità, il relitto del Titanic è da tempo diventato una destinazione per turisti super ricchi, come dimostra il dramma del sommergibile di cui si sono perse le tracce al largo delle coste canadesi. Ma nessuno più di Robert Ballard sa che cosa si provi di fronte a ciò che resta della nave più famosa del mondo, naufragata nel 1912.
Esploratore dei fondali oceanici, autore di scoperte sensazionali sulla geologia e la vita negli abissi, Ballard è stato anche il primo a individuare il Titanic, il 1 settembre 1985, riuscendo a vincere una sfida tentata da molti e sfuggita a lui stesso di mano, appena pochi anni prima. Scoprire il relitto equivaleva a trovare un ago in un pagliaio.
Ballard ci ha raccontato la storia dell'impresa, compiuta in appena 12 giorni, con cui ha prevalso su missioni che avevano a disposizione più mezzi e, soprattutto, molto più tempo.
Perché ci sono voluti tanti anni per trovare il relitto di una nave così grande?
La ricerca del relitto del Titanic è iniziata poco dopo il naufragio, ma ben presto si capì che i mezzi dell'epoca non avrebbero permesso di individuarlo.
In seguito, la tecnologia dell'esplorazione dei fondali oceanici è avanzata moltissimo e le ricerche sono ricominciate. Devo dire che mi aspettavo che il relitto venisse individuato prima. Fui sorpreso dal fallimento delle prime missioni.
In cosa consiste la telepresenza, una tecnologia di sua invenzione?
La telepresenza utilizza un veicolo sottomarino comandato dalla nave di appoggio in superficie, equipaggiato con telecamere e sonar che permettono di esaminare il fondale. In questo modo si copre un'area molto più ristretta rispetto a quella esplorata con i sonar tradizionali, ma si riesce ad avere una visione estremamente dettagliata.
Ho ideato questa tecnologia nel 1979, mentre a Stanford stavo assistendo al grande sviluppo di nuove tecnologie basate su fibre ottiche e microprocessori. Una notte sognai di poter esplorare i fondali con mezzi comandati da remoto. Feci poi un disegno che pubblicai nel dicembre del 1981 sul National Geographic. Il sogno è diventato realtà.
Ci parli della missione che le ha permesso di individuare il relitto del Titanic.
Lavoravo per la marina americana che però non aveva alcun interesse a scoprire il relitto. Tuttavia, era molto interessata a utilizzare la tecnica della telepresenza per scopi militari. Riuscii allora a farmi finanziare una missione per individuare due sottomarini nucleari, dispersi nella stessa area in cui si trovava il Titanic: lo USS Thresher e lo USS Scorpion.
L'idea era trovare i sommergibili, per poi passare il resto del tempo a cercare il Titanic, il mio vero obiettivo. Alla fine però per questa parte della missione rimasero appena 12 giorni: davvero poco, tenuto conto che i gruppi concorrenti avevano circa due mesi per ciascun tentativo.
Le loro missioni però usavano i sonar tradizionali. Noi avevamo la telepresenza.
Come ha fatto a trovare il Titanic in così poco tempo?
Abbiamo scelto un approccio diverso, decidendo di non cercare il Titanic ma le sue tracce. Siamo partiti dall'idea che certamente, durante il naufragio, doveva essersi dispersa in mare una grande quantità di oggetti e resti.
Tutti questi oggetti dovevano essersi distribuiti su un'area molto vasta. Individuarli ci avrebbe permesso di restringere il campo, e seguirli ci avrebbe portati dritti al relitto. Ed è stato esattamente così. Il primo oggetto che abbiamo trovato è stata una caldaia.
Che cosa ha provato quando ha individuato il Titanic?
Quando abbiamo avuto la certezza di aver individuato il relitto del Titanic la prima reazione è stata di entusiasmo e gioia. Ma il nostro atteggiamento è cambiato quando, poco dopo, quando ci siamo resi conto che ci trovavamo davanti a un immenso cimitero.
L'anno seguente siamo tornati sul posto con il sottomarino Alvin che ci ha portati sul relitto. Siamo stati i primi a vederlo da vicino.
Perché la vicenda del Titanic è ancora così affascinante?
Credo che il motivo sia che nell'immaginario il Titanic non è mai realmente affondato. Quando pensiamo al naufragio, immaginiamo di essere lì sul ponte, in quella notte senza nubi, protagonisti e spettatori insieme. E tutti ci chiediamo che ruolo avremmo avuto, chi saremmo stati e che cosa avremmo fatto.