Scienze

Riportare in vita specie estinte è tecnicamente impossibile

Far rivivere il mammut lanoso o altre specie scomparse ripristinando il loro DNA resta un miraggio: le copie sarebbero comunque diverse dall'originale.

Mammut lanosi, dodo, bisonti delle steppe e leoni delle caverne sono destinati a vivere in eterno soltanto nei musei e sui libri di scienze: secondo uno studio pubblicato su Current Biology siamo molto lontani dal poter resuscitare specie animali estinte intervenendo sul DNA dei loro discendenti moderni perché, se anche ci riuscissimo, otterremmo esemplari solo apparentemente simili a quelli perduti.

La zampata al concetto di de-estinzione o resurrezione biologica, cioè la creazione artificiale di un organismo appartenente a una specie estinta, è arrivata da un roditore sparito dalla circolazione all'inizio del ventesimo secolo, il ratto di Maclear (Rattus macleari).

Questo mammifero, scomparso nel 1908 da Christmas Island, un fazzoletto di terra 1200 km a ovest dalla costa australiana, è in teoria il candidato ideale per rivivere grazie all'intervento dell'uomo. Conosciamo molto bene il suo DNA, grazie a diversi esemplari conservati, ed è geneticamente molto vicino al ratto marrone (Rattus norvegicus) - la pantegana - il cui genoma è stato completamente sequenziato.

De-estinzione: come si fa. Per resuscitare una specie estinta occorre sequenziare il suo DNA e rimpiazzare le sequenze perdute di codice con altre molto simili prese da parenti prossimi ancora in vita - un'operazione resa possibile anche grazie ai progressi della tecnica Crispr/Cas9. Con il codice completo si passa alla creazione di embrioni con genoma "ibrido" che si cerca di portare alla luce attraverso una madre surrogata, il più possibile simile all'animale estinto (per esempio una femmina di elefante asiatico per il mammut lanoso).

Il ratto di Maclear, estinto abitante dell'Isola di Natale.
Il ratto di Maclear, estinto abitante dell'Isola di Natale. © Wikimedia Commons

Paziente ricostruzione. Nel nuovo studio Tom Gilbert, genetista evolutivo dell'Università di Copenhagen, ha provato a capire se il processo sia teoricamente possibile partendo da un animale piccolo e più "facile" come il ratto estinto. Ha estratto il DNA del roditore da due esemplari conservati e lo ha sequenziato più volte in modo da ricavare un genoma più completo possibile.

Il problema del DNA antico è che si degrada e spezzetta in frammenti piccolissimi, impossibili da riassemblare completamente. Così Gilbert ha usato il genoma del ratto norvegese come "stampo-guida" per ricostruire un codice il più simile possibile a quello del ratto scomparso.

Geni fantasma. Nonostante tutti gli sforzi, dal confronto tra il DNA taglia e cuci ottenuto artificialmente e quello originale è emerso che il 5% del genoma del ratto di Maclear (circa 2.500 geni su 34.000) rimaneva ancora perduto, non ricostruibile. «Abbiamo salvato ogni frammento di DNA possibile - ha spiegato Gilbert - eppure c'è un restante 5% a cui non riusciamo dare un senso.

»

A mancare all'appello sono proprio i pezzi più importanti del puzzle, quelli che rendono una specie unica, inclusi i geni che si sono evoluti più rapidamente e che contraddistinguono, con caratteristiche speciali e irripetibili, anche specie molto vicine dal punto di vista genetico.

Gli somiglia, ma... Il team è riuscito a ricreare copie quasi complete di circa la metà dei geni del ratto estinto, inclusi quelli responsabili degli attributi di orecchie e peluria, ma per molti altri - come quelli che regolano il sistema immunitario e il senso dell'olfatto - è stata possibile una ricostruzione solo parziale. Perciò si potrebbe ipoteticamente riportare in vita un ratto con i peli lunghi e scuri e le orecchie arrotondate molto simile a quello scomparso, ma il roditore si comporterebbe in modo diverso nella ricerca del cibo, nella scelta del partner e nelle strategie difensive per via delle diverse caratteristiche olfattive. Sarebbe insomma una copia solo apparentemente conforme all'originale.

E il 5% di diversità genetica non è poco: a dividere l'uomo e i bonobo c'è soltanto l'1% di DNA. Non solo, più tempo è passato dalla separazione tra la specie estinta e il suo parente vivente nell'albero geneaologico, più è alta la percentuale di geni irrimediabilmente perduta. Il ratto di Christmas Island e quello norvegese hanno preso strade diverse 2,6 milioni di anni fa; ma il mammut e l'elefante asiatico ben 6 milioni di anni fa. Una doccia fredda per i progetti di de-estinzione del mammut lanoso come quelli della start-up Colossal.

Il vero mammut? E chi lo vuole! Non tutti condividono questa pessimistica visione. Secondo Andrew Pask, biologo dell'Università di Melbourne che sogna la de-estinzione del tilacino (o tigre della tasmania), un marsupiale carnivoro australiano scomparso in cattività nel 1936, la percentuale di geni differenti potrebbe trovarsi in regioni ridondanti, ossia ripetitive, del genoma e non influire sull'aspetto e sul comportamento della nuova copia.

Altri scienziati enfatizzano che lo scopo della de-estinzione non è ricreare specie fotocopia ma equivalenti funzionali, per esempio elefanti capaci di tollerare il gelo come i mammut lanosi. E che quindi il nuovo lavoro non dice niente di nuovo.

14 marzo 2022 Elisabetta Intini
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