Scienze

Quanto uccide l'aviaria?

Focus.it ha raccolto dati sorprendenti per cui l'influenza dei polli potrebbe non essere un'epidemia così mortale come si pensa...

Quanto uccide l'aviaria?
Focus.it ha raccolto dati sorprendenti per cui l'influenza dei polli potrebbe non essere un'epidemia così mortale come si pensa...

Ci stiamo spaventando per nulla? Meglio tenere alta la guardia, certo. Ma alcuni studi che Focus ha scovato per voi dicono che il virus dell'influenza aviaria potrebbe essere meno pericoloso di quanto si pensi...
Ci stiamo spaventando per nulla? Meglio tenere alta la guardia, certo. Ma alcuni studi che Focus ha scovato per voi dicono che il virus dell'influenza aviaria potrebbe essere meno pericoloso di quanto si pensi...

Il virus dell’influenza aviaria è alle porte di casa, ma forse, visto da vicino, lo spauracchio è meno brutto di quanto sembrasse da lontano. Perché seppur timidamente fra i ricercatori sta girando la voce che il virus è sì poco raccomandabile, ma forse infetta molte più persone di quanto si pensasse, la malattia non si manifesta o si manifesta con sintomi lievi, e quindi la percentuale di casi mortali sul numero totale di casi di infezione è molto minore. Ci sono infatti dati di cui nessuno parla che raccontano un’altra storia.
Di influenza aviaria si muore? Sì, no... non sempre. Finora si era pensato che tutti gli infetti manifestassero sintomi gravi che richiedono il ricovero. I dati raccolti dall’Oms dicevano infatti che si erano registrati 148 casi di infezione con 79 decessi. Una mortalità pari al 53%. Ma in Turchia al momento ci sono 21 ricoverati e solo 4 decessi. Se l’andamento dovesse rimanere costante, la mortalità in Turchia sarebbe del 20%. Ma non è tutto.
Gli infetti con nessun sintomo, o con pochi sintomi lievi, che sfuggono, come una febbriciattola, un raffreddore, un disturbo intestinale, sembrano essere molti più di quanto sospettato sinora.
Solo che nei paesi orientali l’organizzazione sanitaria ha condotto poche indagini sulla presenza degli anticorpi fra le persone esposte all’infezione. Focus.it ha però rintracciato alcuni casi e studi scientifici di ricercatori curiosi, che dimostrano come la malattia viaggi inosservata e abbia infettato molte persone, molte di più di quelle che appaiono nel quadro prospettato dall’Oms.

Ecco i punti fondamentali della nostra inchiesta.
1. La più curiosa è Nancy Cox, medico epidemiologo, esperta di virus influenzali dei Centers for Desease control and prevention (CDC) americani di Atlanta, in Georgia. È vero, si è detta la ricercatrice, che fin dai primi casi di influenza aviaria registrati a Hong Kong nel 1997 sono stati ricoverati 18 pazienti in condizioni critiche e di questi 6 (33%) sono morti. Ma cosa è successo ai dipendenti del governo che si sono occupati di eliminare milioni di polli infetti e ai lavoratori del settore aviario? Possibile che nessuno di loro si sia infettato?
Cox con pazienza certosina ha analizzato centinaia di campioni di sangue e alla fine ha pubblicato i risultati: il 3% dei 293 dipendenti governativi e il 10% dei 1525 lavoratori avicoli hanno gli anticorpi al virus.

2.

Cox quando ha trovato una pista non la molla. Se sono positivi i lavoratori del settore, non potrebbero esserlo anche i compagni di vita, di lavoro, di viaggio dei pazienti ricoverati?
Anche qui ore di analisi di laboratorio sul sangue di questi gruppi di rischio e alla fine i risultati: sono sieropositivi 6 conviventi su 51 (11,7%); 1 compagno di viaggio su 26 (3,8%) e nessun collega di lavoro su 47. Sieropositivi, ma senza sintomi.

3. E fra il personale medico che si sono prodigati per i pazienti, si è domandata allora Cox? E ha studiato il sangue di 526 sanitari di Hong Kong. Sono risultati sieropositivi 10 dei 217 che hanno accudito i malati in fase acuta (3,7%), ma anche 2 dei 309 sanitari che almeno in teoria non erano venuti a contatto con pazienti infetti (0,7%).

4. Circa un anno fa l'influenza aviaria ha superato il braccio di mare che divide il Giappone dalla terraferma e compare negli allevamenti. Il governo nipponico rispose con l'abbattimento di centinaia di migliaia di volatili.
I virologi hanno studiato poi il sangue di 58 persone che avevano partecipato all'operazione venendo a contatto con il virus: nessuna sieroconversione nei 17 che avevano assunto un antivirale come misura preventiva, ma nei 41 che non avevano preso nulla i sieropositivi sono 5 (12%).

5. In India il virus dell'influenza aviaria non è mai ufficia lmente arrivato. E allora come fanno a risultare sieropositivi tre lavoratori del settore avicolo?
Il test, effettuato a maggio del 2005 a Chennai, sulle coste indiane del golfo del Bengala, è stato ripetuto presso i Cdc di Atlanta e Jackie Katz del settore influenza ha confermato al quotidiano indiano The Indian Express: «Le tre persone sono risultate positive per gli anticorpi ad un virus H5N1 altamente patogeno. Ma non c'è motivo di allarme».

6. È invece di pochi giorni fa il caso di due bimbi turchi, di 4 e 5 anni, che i genitori, allarmati, hanno portato in ospedale appena si sono accorti che fra i polli dietro casa c'era una morìa sospetta.
I medici li hanno sottoposti al test ed entrambi sono risultati sieropositivi, cioè hanno gli anticorpi contro il virus H5N1, il che dimostra che il loro sistema immunitario ha incontrato il virus e ha reagito difendendosi efficacemente, tanto che non hanno avuto nessun sintomo, neppure un raffreddore.
Situazione analoga per altri due fratellini turchi, rispettivamente di 2 e 5 anni, che dopo aver giocato con i guanti usati dal padre per eliminare due anatre infette, hanno avuto sintomi lievi o addirittura assenti, ma anche loro risultano sieropositivi.

7. «Vorrei fare di più, ma ci vuole diplomazia.

Certi studi sono il frutto della collaborazione con i paesi in cui si verifica l'epidemia. E non posso marciare in Vietnam con un esercito di ricercatori amercani. In paesi come il Vietnam i pazienti più gravi vengono ricoverati e sottoposti al test dell'H5N1, ma i casi più lievi sfuggono » aveva detto Cox a Science nel marzo 2005.
E Peter Cordingly, portavoce dell'Oms a Manila aveva affermato: «I vietnamiti sono troppo occupati a seguire i casi di malati gravi per seguire anche i problemi epidemiologici». Molto distratti, soprattutto se i sintomi sono tanto lievi da non richiedere il ricovero.
Anna Thorson del Karolinska Institutet di Stoccolma ha intervistato più di 45 mila vietnamiti: di questi l'84% viveva insieme ai polli e il 26% aveva avuto morie di animali. Analizzando le risposte ha scoperto che nelle famiglie in cui c'erano state morie di animali, quasi 2 individui per famiglia avevano contemporaneamente manifestato sintomi simil-influenzali come tosse e febbre.
E avanza l'ipotesi che nei paesi asiatici i casi più lievi possano essere sfuggiti alle rilevazioni. «Se così fosse solo in Vietnam i casi di infezione lieve, con sintomi non tali da portare al ricovero potrebbero essere almeno tra 650-750», stima Anna Thorson. A questi andrebbero sommati i casi di sola comparsa degli anticorpi senza sintomi.

I conti non tornano. A questo punto i conti sono da rifare. Forse quello che ci minaccia non è un virus cattivissimo, che uccide il 53% degli individui che infetta, come dicono i dati dell'Oms.
Se i 42 morti vietnamiti vengono spalmati su un migliaio di casi, la mortalità scende a un meno spaventoso 5% o giù di lì. E allora anche le previsioni catastrofiche riportate finora sono da rivedere al ribasso. Non solo.
I dati relativi ai contagi sfuggiti durante l'epidemia di Hong Kong del 1997 non inducono a pensare a una maggiore trasmissibilità all'uomo del virus, ma solo alla scarsità di studi sulla reale epidemiologia dell'infezione.
«Lo vado dicendo da tempo» dice Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto nazionale di malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. «Siamo di fronte a una malattia di cui vediamo solo i casi più gravi e fra questi ovviamente la mortalità è elevata. Ma come nella maggior parte delle infezioni, le persone esposte al virus e che hanno sviluppato una risposta immunitaria è molto più alta di coloro che sviluppano sintomi. E più conosciamo questo virus meglio ne comprenderemo il vero comportamento».

Amelia Beltramini

(Notizia aggiornata al 19 gennaio 2006)

18 gennaio 2006
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