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Scienze

È possibile pubblicare articoli scientifici scritti per scherzo?

Non è la norma, ma è capitato: usando le parole e la forma giuste, qualcuno è riuscito a convincere testate accademiche a pubblicare articoli senza senso.

Sono passati 25 anni dalla prima, grande burla ai danni del mondo accademico: era il 1996 e Alan Sokal (professore di fisica della New York University), reduce dalla pubblicazione del libro Imposture intellettuali, nel quale criticava la mancanza di rigore negli editori e negli accademici postmoderni, diventava protagonista di quello che sarebbe passato alla storia come "affare Sokal". Per provare la sua tesi, Sokal aveva sottoposto a una rivista accademica culturale, Social Text, un suo articolo dal titolo "Transgressing the Boundaries: Towards a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity" (in italiano, "Violare le frontiere: verso un'ermeneutica trasformativa della gravità quantistica").

Il contenuto? Fuffa. Un'accozzaglia di termini tecnici e paroloni accademici messi nei punti giusti, a sostegno di tesi nonsense e con qualche concetto che fosse ideologicamente vicino al pensiero di quelli di Social Text. Il risultato? La rivista pubblicò l'articolo, dichiarato poi dallo stesso Sokal una burla scritta per provare la verità della propria tesi.

Parol(on)e in libertà. A questo punto qualcuno starà pensando che, trattandosi di pubblicazioni a contenuto umanistico, sia stato relativamente più semplice prendersi gioco del... rigore accademico. E che tutto diventerebbe più complicato se si parlasse di "scienza dura". C'è un episodio che sembra dare ragione a chi la pensa così.

Ce lo racconta un articolo pubblicato sulla versione spagnola di The Conversation: erano i primi anni Duemila quando i fratelli Igor e Grichka Bogdanov, divulgatori scientifici e star della tv francese, scrissero alcuni articoli di fisica (alcuni dei quali contenevano una loro ipotesi su cosa sia accaduto prima e durante il Big Bang) che, una volta pubblicati, ricevettero critiche da molti esperti del settore. John Baez, famoso matematico statunitense, definì il lavoro "un misto di frasi apparentemente plausibili con parole tecniche corrette scritte nell'ordine corretto, ma senza logica né coesione". Secondo il fisico tedesco Max Niedermaier si trattava di "pseudoscienza", scritta con un gergo tecnico in pieno stile Sokal. Qualche tempo dopo il CNRS (Centro nazionale per la ricerca scientifica) francese concluse che i loro lavori non avevano "alcun valore scientifico".

IA intellettuale. Eppure non è mancata qualche occasione in cui, anche gli scienziati, si siano fatti prendere in giro... Nel 2005 furono tre studenti del MIT a farsi beffe del mondo accademico. Per criticare il fatto che molti costosi congressi scientifici venissero organizzati con l'obiettivo di spennare giovani ricercatori ansiosi di "fare curriculum", i tre svilupparono un programma informatico in grado di generare automaticamente articoli accademici mescolando frasi e tecnicismi casuali pescati da altri lavori.

Uno degli articoli dell'IA venne accettato in una conferenza di informatica quello stesso anno!

Quantità VS qualità. Sebbene quelli descritti siano episodi davvero rari, eccezioni che confermano la regola del rigore accademico, devono comunque farci riflettere. Il sistema attuale impone, in particolare ai più giovani che cercano di far carriera nell'ambito accademico, di pubblicare il più possibile: più articoli si hanno all'attivo, più il proprio lavoro viene riconosciuto. Da qui il rischio che la quantità prevalga sulla qualità e che la revisione di qualche articolo non proprio convincente finisca per sfuggire al controllo: come sosteneva il movimento nato a Berlino nel 2010 chiamato "Slow Science", "la scienza ha bisogno di tempo per pensare".

29 maggio 2021 Chiara Guzzonato
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