Un italiano, un cinese, un inglese, un eschimese. A guardarli da fuori, hanno poco in comune. Ma sono diversi anche dentro, in profondità, tra le pieghe dei loro cervelli, nei processi cognitivi e nel modo di reagire agli stimoli. I loro neuroni lavorano in modo diverso. Una possibile causa - nota da tempo - è l'influenza che hanno cultura e società sul nostro modo di pensare. Ma non solo. C’entrano anche altri fattori genetici, come dimostrerebbe una ricerca dell’Università di Liverpool, che hanno messo a confronto la velocità di reazione agli stimoli visivi e dei movimenti dell’occhio di tre diversi gruppi di studenti: 70 cinesi nati e cresciuti in Cina, 45 di origine cinese ma cresciuti nel Regno Unito, 70 europei caucasici.
Cinesi recordman
Nello studio, pubblicato su PLOS One, i ricercatori inglesi hanno misurato la velocità nell’eseguire una serie di “saccadi”, i più elementari e rapidi movimenti dei nostri occhi, quelli che usiamo per spostare lo sguardo senza girare la testa, come quelli che probabilmente state facendo per leggere questo articolo.
Il risultato lascia pochi dubbi: i ragazzi e le ragazzi cinesi, a prescindere da dove fossero cresciuti, riuscivano ad eseguire saccadi super rapide (tra 80 e 130 millisecondi) molto più spesso rispetto ai loro colleghi caucasici. In media, tra le 16 e le 20 volte ogni 100 tentativi, contro un più modesto 12-13 per cento.
La provocazione: “Ripensiamo le neuroscienze”
«Esaminare le saccadi di popoli diversi rivela molte cose dei meccanismi basilari del cervello e del modo in cui pensiamo», ha spiegato Paul Knox,il neurofisiologo che ha diretto lo studio. «Molti scienziati credono che i movimenti dell’occhio si sviluppino per motivi culturali: in base al luogo in cui una persona vive, ai libri che legge, all’influenza della famiglia e della società. La nostra ricerca mostra che, almeno per le saccadi, non è così. Ci sono ragioni più profonde, legate forse alla genetica. E tutto questo può incidere anche su come il cervello di persone con provenienze diverse reagisce a incidenti e malattie».
L’esperimento diventa così, in qualche modo, una provocazione. Se ci sono differenze profonde e genetiche tra il cervello di un inglese e quello di un cinese, il modo attuale di studiare le neuroscienze rischia di non essere adeguato, per colpa di campioni troppo omogenei.«L’80 per cento degli studi in questo campo – prosegue Knox – è svolto su persone di Paesi occidentali, ricchi e industrializzati». Ovviamente la ricerca deve essere confermata da altri studi perché i suoi limiti sono evidenti.
La provocazione degli scienziati inglesi, però, non è priva di fondamento, conferma Alberto Oliverio, psicobiologo dell’Università La Sapienza di Roma. «È vero che gli studi fatti nelle università americane più attrezzate è svolto su gruppi abbastanza omogenei di bianchi caucasici. Però la ricerca sulle neuroscienze non esiste solo negli Stati Uniti e se ne fa anche qui in Italia, per esempio».
Genetica e cervello
Secondo Oliviero, è plausibile che le differenze osservate nello studio inglese siano davvero di natura genetica: «Potrebbero essere legate a fattori molto antichi, alla differenza tra antenati stanziali e altri prevalentemente nomadi. Fino agli anni ’70 era un tabù parlare di genetica per quanto riguarda le neuroscienze, ma oggi sappiamo, per esempio, che incide sul gusto e sulla sensibilità alle sostanze amare, che variano tra popoli diversi. E anche sulla struttura del cervello, come dimostra la fisiologia unica del cervello degli eschimesi».