Una ricerca che spazia dalla scienza del riciclo all'astrofisica vi farà guardare le bottiglie di plastica usate con occhi diversi. Un team internazionale di Germania e California ha ottenuto diamanti in miniatura portando il polietilene tereftalato o Pet (il materiale comunemente usato per bottiglie di plastica e vaschette alimentari) a condizioni di temperatura e di pressione estreme.
Qualcosa di simile accade all'interno dei pianeti giganti gassosi come Nettuno e Urano, dove le piogge di diamanti potrebbero essere un evento più comune del previsto. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Science Advances.
Ispirati dai pianeti. Ormai da diverso tempo gli scienziati sono convinti che la pressione estrema dentro Urano o Nettuno, a migliaia di km di profondità, riesca a scindere gli idrocarburi che compongono questi giganti gassosi provocando la formazione di diamanti. Nel 2017 l'équipe di ricercatori dell'Helmholtz-Zentrum Dresden-Rossendorf (Hzdr) e dell'Università di Rostock in Germania - insieme ai colleghi dell'École Polytechnique in Francia e dello Slac National Accelerator Laboratory negli Stati Uniti - era riuscita a replicare per la prima volta questo processo in laboratorio, esponendo il polistirene (o polistirolo), un tipo di plastica composto anche di idrogeno e carbonio, a onde d'urto generate da un laser ottico, fino a ottenere pressioni e temperature simili a quelle dell'interno di Urano e Nettuno.
Arrivati a oltre 4.700 gradi °C e 150 gigapascal (le condizioni che si pensa ci siano a 10.000 km di profondità nei due pianeti) era stato possibile osservare per un istante una pioggia di diamanti grandi alcuni milionesimi di millimetro, mentre si formavano dentro al materiale plastico. Mancava però un ingrediente chiave presente nei giganti gassosi, che si pensa incoraggi la formazione di diamanti: l'ossigeno. Così gli scienziati hanno pensato al PET, l'onnipresente materia plastica che contiene un buon mix non solo di idrogeno e carbonio ma anche di ossigeno. E che si dà il caso occorra riciclare.
Diamanti dappertutto. In questo secondo esperimento a cinque anni di distanza dal primo il team ha ripetuto le condizioni precedenti, aggiungendo però la tecnica di osservazione della diffrazione dei raggi X per capire quanto velocemente si formassero i cristalli e le loro dimensioni. È subito parso chiaro che l'ossigeno ha facilitato la formazione di nanodiamanti, che si sono creati in condizioni di temperatura e pressione minori rispetto al primo test.
Gli scienziati sono quindi convinti che, proprio grazie all'ossigeno, le piogge di diamanti sui giganti gassosi siano una circostanza molto più comune di quanto si credesse.
Dentro Urano e Nettuno si formerebbero diamanti molto più grandi di quelli ottenuti in laboratorio. Con il tempo, essi sprofonderebbero negli strati ancora inferiori di ghiaccio posizionandosi infine attorno al nucleo solido dei pianeti.
Non solo. Questo processo, e in particolare la separazione del carbonio da ossigeno e idrogeno, potrebbe creare le condizioni per la formazione su questi pianeti di acqua superionica, una fase in cui l'acqua è sia liquida sia solida, impossibile da replicare sulla Terra. Si pensa che quest'acqua, che si forma soltanto in condizioni ambientali molto estreme, riempia i mantelli di Urano, Nettuno e altri giganti gassosi. Essendo in grado di condurre elettricità potrebbe spiegare alcune peculiarità del campo magnetico dei pianeti esterni del Sistema Solare.
Quanto alle bottiglie di plastica... Complesso e dispendioso, il processo di formazione dei nanodiamanti è ancora poco sfruttabile nel massiccio riciclo della Pet. Ma se ci si riuscisse, le applicazioni non mancherebbero. Per le loro proprietà chimiche e fisiche, i nanodiamanti sono già usati in vari campi, dall'elettronica quantistica alla chirurgia; in medicina sono impiegati nella somministrazione di farmaci chemioterapici, inoltre facilitano la produzione di idrogeno e sono utili nei processi di pulizia e purificazione delle acque.