Chi l'ha detto che gli oggetti in plastica, una volta rotti, devono per forza finire in discarica ed essere rimpiazzati da altra plastica? Un team di ricercatori australiani ha messo a punto un nuovo processo chimico che permette di riparare alcuni materiali sintetici semplicemente esponendoli alla luce per qualche decina di minuti.
Polvere magica. Nathalie Corrigan e Michael Zhang del dipartimento di Chimica della University of New South Wales hanno aggiunto uno speciale additivo alle resine normalmente utilizzate nella stampa 3D. Gli oggetti realizzati con queste resine arricchite hanno una caratteristica che li rende unici: se si rompono possono essere riparati unendo i vari frammenti e illuminandoli con dei comuni led per circa 60 minuti. L'oggetto, una volta terminato il processo, risulta addirittura più resistente di prima.
nanofusioni. Questo interessante risultato è stato ottenuto aggiungendo alla plastica un tritiocarbonato e sfruttando un processo noto come polimerizzazione radicalica controllata, ideato nel 1988 dall'azieda Dupont in collaborazione con il CSIRO, l'Organizzazione per la ricerca scientifica e industriale del Commonwealth.
Questo additivo, in presenza di luce, permette ai polimeri della plastica di ricostruire a livello nanoscopico le connessioni tra un elemento e l'altro. In modo improprio e solo per rendere l'idea, si potrebbe dire che siamo di fronte a una sorta di "fusione a freddo" della plastica. Infatti secondo i ricercatori si potrebbe ottenere lo stesso risultato con diversi cicli di fusione tradizionale, almeno 24 ore di tempo e una notevole quantità di energia.
plastica ecosostenibile. I vantaggi del processo messo a punto da Corrigan e Zhang sono evidenti: il materiale rotto non deve per forza essere sostituito e può essere ripristinato velocemente, in loco, senza bisogno di forni o altri strumenti. Con un notevole contenimento dei costi e grandi vantaggi per l'ambiente.