Tremila anni fa gli squali erano un pericolo mortale per gli uomini, soprattutto per i pescatori che dovevano immergersi per catturare crostacei. Lo testimoniano i resti di quella che, a oggi, risulta essere la più antica vittima di uno squalo mai trovata: si tratta di uno scheletro rinvenuto all'inizio del XX secolo nel sito archeologico chiamato Tsukumo Shell, nei pressi del Mare interno di Seto, nell'arcipelago giapponese.
Uno scheletro che mostrava i segni di oltre 800 ferite, per le quali finora nessuno era riuscito a trovare una spiegazione.
Per esclusione. Di recente le ossa sono state nuovamente analizzate dagli archeologi Alyssa White e Rick Schulting dell'Università di Oxford nel Regno Unito, nel corso di una ricerca sul tema della violenza nel Giappone preistorico.
Gli studiosi si sono detti sconcertati dalle numerose ferite, profonde e seghettate, inferte soprattutto su braccia, gambe, torace e addome. Andando per esclusione, i ricercatori hanno scartato l'ipotesi che potesse trattarsi dell'opera di animali predatori terrestri o un'aggressione per mano umana: le lesioni sulle ossa dell'uomo, conosciuto come Tsukumo n. 24, avevano infatti spigoli vivi e curvi, caratteristiche che le rendeva incompatibili con gli strumenti in pietra in uso all'epoca.
La soluzione è arrivata quando gli archeologi hanno pensato di rivolgersi al biologo marino George Burgess del Florida Museum of Natural History per mostrargli le ferite. Secondo Burgess si trattava di ferite inferte proprio da squali: «È abbastanza probabile che quell'uomo sia andato a pescare in mare con altri compagni e, una volta attaccato dallo squalo, abbia subito una violentissima colluttazione, dopo la quale fu prontamente recuperato.
Quale specie? Le caratteristiche e alla distribuzione dei segni dei denti», spiega Burgess, «suggeriscono che la specie responsabile dell'attacco sia probabilmente uno squalo tigre (Galeocerdo cuvier) o uno squalo bianco (Carcharodon carcharias)». Impossibile definirlo con certezza, perché i segni dei morsi sono così numerosi e sovrapposti che non è possibile risalire alla forma precisa della mascella.
Attraverso una serie di altre valutazioni bioarcheologiche delle ossa, il gruppo di lavoro ha potuto determinare che la persona in questione era un uomo giovane o al massimo di mezza età, vissuto tra il 1370 e il 1010 a.C. L'incontro fu certamente violento e, secondo i ricercatori, l'uomo sarebbe morto abbastanza rapidamente. Dato il numero di morsi che hanno raggiunto le sue ossa, le arterie femorali sarebbero state recise quasi istantaneamente, con conseguente rapida morte per shock ipovolemico, che si verifica quando il corpo perde rapidamente almeno un quinto del proprio sangue.