Uno studio condotto da Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell'Osservatorio Vesuviano, ipotizza una nuova teoria sulla morte degli abitanti di Pompei e delle altre città distrutte dall'eruzione del vulcano in epoca romana.
“Gli abitanti di Pompei morirono per le alte temperature e non per asfissia”
Solo cenere e lapilli? - Tutti sappiamo che l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. fu devastante e distrusse completamente le città di Pompei, Ercolano e Stabia. E se visitate uno di questi siti archeologici, la guida vi dirà che gli abitanti non furono in grado di scappare e morirono sotto una pioggia di cenere e lapilli. Una nuova teoria, però, racconta che i pompeiani non morirono per asfissia, ma a causa delle alte temperature generate dalla nube piroclasica.
Temperature infernali - Per dimostrare la sua teoria, Giuseppe Mastrolorenzo e il suo team, hanno esposto ossa umane e di animali a temperature altissime che vanno dai 100 agli 800 gradi Farenheit. Si è così scoperto che, in base alla colorazione delle ossa usate per l'esperimento, i corpi rinvenuti a Pompei - che dista circa 10 km dal Vesuvio - sono stati esposti a una temperatura tra i 250 e i 300 gradi Fahrenheit, mentre quelli dei villaggi più vicini al vulcano a temperature ancora più elevate dell'ordine dei 450 e i 500 gradi Fahrenheit.
Ancora più pericoloso - I ricercatori hanno successivamente usato le informazioni raccolte per simulare al computer i vari livelli di temperatura generati dalle colonne di cenere incandescente che l'eruzione del 79 d.C. portò a valle. Rilancia lo studio partenopeo il sito web Discovery News che commenta i risultati della ricerca: se l'area esposta alle alte temperature fosse più ampia di quanto si fosse pensato in precedenza e se un'eruzione si ripetesse con le stesse modalità, metterebbe potenzialmente a rischio più di 3 milioni di persone.