Non siamo razzisti con i bambini piccoli perché il nostro cervello è programmato per prendersi cura di loro, a prescindere dal colore della pelle. È quanto risulta da una ricerca condotta dall’Università Bicocca di Milano e pubblicata su Neuropsychologia. Quando poi i bambini crescono, ovvero dopo i tre anni, il cervello si fa invece condizionare dal cosiddetto Other-race effect (Ore), ovvero il “principio regolatore” in base al quale vengono riconosciuti con più facilità i volti che appartengono al nostro gruppo etnico.
Amore parentale. Con i volti di infants (i bambini tra i sei mesi e i tre anni), però, questo meccanismo non avviene. Merito della loro conformazione fisica, del fatto cioè che abbiano una testa più grande rispetto al corpo, occhi grandi, naso e bocca piccoli e guance paffutelle. Lo studio ha dimostrato infatti che quando ci si imbatte in questo baby schema si registra una stimolazione della regione orbito-frontale del cervello, dov’è localizzato il “circuito del piacere”: è da qui che sorgono stimoli positivi come l’amore materno o parentale.
Protezione e sopravvivenza. Ha dichiarato Alice Mado Proverbio, autrice della ricerca insieme a Valeria De Gabriele del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca: «I dati dimostrano come il cervello umano sia programmato per prendersi cura dei piccoli di qualunque etnia; questa informazione “razziale” viene ignorata totalmente dal cervello se si tratta di bambini, mentre agisce sulla regolazione del comportamento (pregiudizio), se si tratta di adulti. Il piacere e la tenerezza che proviamo spontaneamente alla vista dei bambini piccoli (generalizzata ai cuccioli di altre specie) è frutto di un meccanismo cerebrale innato per assicurare protezione e sopravvivenza ai piccoli non-consanguinei, e anzi di qualunque gruppo etnico umano».