Sulla superficie delle dita, fra le creste capillari, si susseguono a brevissima distanza dei pori; questi pori, invisibili a occhio nudo, costituiscono lo sbocco delle ghiandole sudoripare e secernono una sostanza composta per il 98 per cento da acqua e per il restante 2 per cento da minerali e sostanze grasse, sotto forma di un sottilissimo strato detto film idrolipidico. Questo strato serve a proteggere le mani dagli agenti chimico-fisici ma è anche quello che, quando le dita toccano una qualsiasi superficie, lascia la caratteristica impronta, spesso invisibile a occhio nudo. La polizia scientifica, infatti, per rilevare le impronte fa uso di diverse polveri, in genere sottilissime e a base di alluminio, che servono appunto a evidenziare i solchi dell’impronta digitale. Fatta questa premessa, è semplice capire anche perché, se un’impronta è stata lasciata su un vetro appannato, questa scompare appena il vapore se ne va, ma ricompare al successivo appannamento del vetro. Mentre infatti la parte solubile in acqua (idrofila) del film idrolipidico scompare per evaporazione, la parte insolubile (lipofila), rimane intatta, ma invisibile. Se il vetro si appanna nuovamente (senza esser stato prima lavato), l’impronta diventa ancora una volta visibile perché le gocce d’acqua, non potendo aderire al grasso, scivolano via.