Scienze

Perché ci mettiamo le dita nel naso?

Il 96,5% delle persone si mette le dita nel naso. In bagno, ma pure in ufficio e al semaforo. Perché?

È molto probabile, almeno statisticamente, che nel corso delle ultime sei ore vi siate messi le dita nel naso almeno una volta. Giusto? Va be’, non sentitevi troppo in colpa: uno studio scientifico pubblicato sul Journal of Clinical Psychiatry ha dimostrato che solo il 3,5% della popolazione è esente da questa pratica. Gli altri, cioè il 96,5% delle persone, vi si dedica in maniera tutt’altro che saltuaria.

Lo studio ha infatti dimostrato che la frequenza media di questa pratica, quella che quindi si potrebbe definire di normale igiene, è di circa 4 volte al giorno. Ma ci sono alcuni eccessi: il 7,6% della popolazione supera i 20 “interventi” al giorno, tanto da meritare la definizione di “malati” di una nuova mania psichiatrica, la rinotillexomania.

Sensi di colpa Si fa, ma finora nessuno lo aveva detto. Per colmare la lacuna, Chittaranjan Andrade, del National institute of mental health di Bangalore, India, ha chiesto a 200 studenti di 4 scuole superiori, appartenenti a diverse classi sociali, quali erano le loro abitudini in fatto di pulizia delle narici a dita nude, quello che viene volgarmente detto “scaccolamento”.

«Praticamente tutti gli studenti che abbiamo intervistato hanno ammesso di ricorrere a questa pratica » dice Andrade. «Non solo. Il 17% del campione da noi intervistato considerava il suo comportamento tanto grave da essere praticamente una patologia». In effetti la parola rinotillexomania è errata. È composta da quattro vocaboli greci:“rino”, cioè naso, “tillestei” prendere, “exis” fuori, e “mania” ossessione.Ma tillestei significa prendere fuori, e quindi exo è di troppo. La “malattia” si dovrebbe chiamare rinotillomania, ma ormai è troppo tardi.

Come nasce la “caccola”. Da dove vengono le “caccole”? Dal muco generato nei seni frontali e mascellari, che sono spazi vuoti situati dietro la fronte e gli zigomi, rivestiti di cellule a forma di calice che producono, appunto, muco.

La produzione è continua e funziona come una specie di scala mobile in cui il muco è spinto avanti dalle ciglia di cui sono dotate le cellule che rivestono l’interno del naso. Il muco avanza alla velocità di 3-12 mm al minuto e il suo flusso riveste e lubrifica tutte le superfici.

Ognuno di noi inspira mediamente 9mila litri d’aria al giorno, e con l’aria milioni di corpi estranei: irritanti, allergeni, microbi, polveri. Questi, filtrati dai peli che ci sono nel naso, le vibrisse, vengono intrappolati dal muco vischioso che ricopre i 160 cm2 di tessuto ricco di vasi che riveste i turbinati, strutture interne del naso. Inglobati dal muco questi corpi estranei vengono spinti dalle cellule cigliate verso la gola, dove il muco viene inghiottito con quello che contiene e distrutto dagli acidi dello stomaco.

Contemporaneamente, sempre nei turbinati, il muco cede all’aria inspirata il 95% del suo peso, cioè l’acqua, umidificandola.

Insomma, la fine naturale del muco è in gola e poi nello stomaco. Se il muco perde la sua quota di acqua prima di completare il suo viaggio resta nel naso, si secca e aderisce alle narici. Quanto? In base ai parametri scientifici forniti da Albino Rossi, responsabile della divisione di pneumologia del Policlinico di Pavia, abbiamo calcolato che ognuno di noi produce più di un bicchierino di “caccole” al mese.

Lancio del “cappero”. Secondo i medici, però, non è indispensabile toglierle.Tantomeno con le dita. Allora, perché lo si fa? Secondo le risposte degli intervistati, perché le croste di muco nel naso ostruiscono la respirazione, causano prurito, sono esteticamente brutte... Uno studio ha anche indagato sull’“uso finale” delle cosiddette “caccole” (ma esistono altri termini dialettali o colloquiali per definirle, per esempio “capperi”).

La loro sorte è stata indagata da ricercatori Usa della Wisconsin University, con un questionario distribuito a mille abitanti della Dane County: il 90,3% finisce nel fazzoletto; il 28,6% viene lanciato o fatto cadere sul pavimento, ma il 7,6% è trasferito su un mobile e addirittura l’8% viene mangiato, contro il 4,3% dello studio indiano (erano possibili più risposte, ndr). In fondo, hanno commentato i ricercatori, si tratta di una scorciatoia: il destino del muco è proprio lo stomaco.

Proprio per questa ragione, le caccole non fanno male, se ingerite. Anzi. Lo pneumologo austriaco Friedrich Bischinger sostiene che siano salutari.

In base a una sua ricerca, menzionata anche nella rivista scientifica inglese New Scientist, ingerire le “caccole” del naso stimola le difese naturali dell’organismo. Il muco è infatti un ricettacolo di microrganismi: la sua funzione è proprio quella di intrappolare batteri, funghi, virus e polveri, impedendo il loro accesso alle vie respiratorie.

Beccato! Secondo un sondaggio il 35% delle persone è stato sorpreso a mettersi le dita nel naso da un familiare, il 28% da un amico, il 15% da un collega, il 15% dal partner e il 5% dal capo. La maggioranza (38%) ha finto di grattarsi il naso. caso a parte l'allenatore della nazionale di calcio della Germania Joachim Löw, sorpreso in mondovisione più e più volte mentre ripuliva il naso.

E inoltre, secondo gli estimatori, intervistati dai ricercatori Usa, le caccole sarebbero «saporite, leggermente salate ». Forse proprio per il loro contenuto di potassio e sodio. Ma anche di calcio, cloro e acido carbonico, proteine, carboidrati e lipidi.

Se proprio il naso vi prude, è comunque molto meglio ricorrere alle gocce di soluzione salina, acquistabili in farmacia, che hanno il compito di riammorbidire il muco.

Pratica non educata. Perché va ricordato che Monsignor della Casa nel suo Galateo criticava addirittura chi «soffiandosi il naso rimane poi a osservarne il contenuto come accade quando si valutano pietruzze preziose o gioielli...». Insomma, meglio non esagerare. O si rischia di fare la fine di quella signora di 53 anni che, mettendosi le dita nel naso un po’ troppo insistentemente, finì col perforarsi l’osso etmoide, quello che separa naso e cervello.

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16 novembre 2015 Amelia Beltramini
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