Perché l'uomo ha cinque dita, e non sei o sette? La domanda è tutt'altro che banale e collegata alla complessa evoluzione degli arti dei vertebrati. Un gruppo di scienziati canadesi ha risposto a una parte del dilemma in uno studio pubblicato su Nature.
È noto che l'evoluzione delle mani, e in particolare delle dita umane, è strettamente collegata a quella delle pinne dei pesci. Le nostre estremità avrebbero assunto l'aspetto attuale a causa della transizione da un ambiente acquatico all'habitat terrestre. Come questa trasformazione sia avvenuta, è un quesito sul quale ci si interroga dai tempi di Darwin.
Un passo in avanti. Ad agosto, alcuni ricercatori di Chicago hanno identificato gli interruttori biologici responsabili della formazione dei raggi delle pinne (ossia della loro "intelaiatura") e delle dita dei vertebrati: i geni hoxa13 e hoxd13. Ma quali processi hanno favorito la pentadattilia, dominante tra i vertebrati terrestri, se è vero che i primi animali che colonizzarono la terraferma - i tetrapodi - erano polidattili, cioè con più dita rispetto a noi?
Un diverso tipo di attività. Gli scienziati canadesi hanno scoperto che la transizione che ha portato alle cinque dita non è dovuta all'acquisizione di nuovi geni, ma alla diversa attivazione degli stessi geni: durante lo sviluppo embrionale dei topi (e dell'uomo) i geni connessi alla formazione delle dita codificano in due domini separati, mentre nei pesci le loro aree di competenza si sovrappongono.
Introducendo nei topi lo stesso tipo di regolazione che si vede nei pesci, i roditori sviluppano sette dita per zampa, in una sorta di ritorno alle condizioni ancestrali dei vertebrati.