In un giorno lontano di un anno imprecisato, ma comunque compreso fra 169.000 e 226.000 anni fa, in Tibet, due bambini, probabilmente per gioco, lasciarono le impronte delle loro mani, e anche alcune di piedi, su una superficie di travertino ancora fresco. Finirono l'opera quando la composizione parve loro soddisfacente. Non potevano immaginare che in futuro avrebbero suscitato le attenzioni di archeologi impegnati a decifrare le tracce delle prime manifestazioni artistiche, gli autori di uno studio apparso su Science Bulletin, primi firmatari David Zhang (Guangzhou University, Cina) e Mattew Bennett ( Bournemouth University, UK), che assicurano: «L'azione dei due giovanissimi fu intenzionale, cioè non l'effetto di una normale attività pratica come correre, camminare, arrampicarsi, ma un atto creativo, anche se molto semplice, che sposta indietro di 180 mila anni le nostre conoscenze sull'origine dell'arte». Un'esagerazione?
Fantasia in evoluzione. I due bambini impressero sull'altopiano tibetano, presso Quesang, 5 orme di piedi e 5 di mani su una superficie oggi di dura roccia, ma cha ai tempi appariva simile a cemento fresco. Dalle misure delle impronte, i due avevano dai 7 ai 12 anni. Quelle dei piedi appaiono più piccole in rapporto a quelle delle mani. Non erano bambini di Homo sapiens, ma di Neanderthal o di Denisova (specie nostre "sorelle", presenti in Eurasia prima dell'arrivo dei Sapiens dall'Africa, circa 100 mila anni fa). Le impronte vennero impresse con cura, evitando sovrapposizioni. Parlare in questo caso di origine dell'arte potrebbe sembrare semplicistico, se non fosse che le raffigurazioni di mani accompagnano o precedono tutte le pitture parietali preistoriche, che solitamente ritraevano animali, intesi anche come spiriti della natura, a partire da 40 mila anni fa.
Rappresentare mani era insomma un atto creativo universale nella preistoria, dal momento che questo genere di raffigurazioni s'incontrano ad opera dell'Homo sapiens dalle grotte di Chauvet, in Francia a far data da 37 mila anni fa, fino alle pitture parietali di Sulawesi, in Indonesia, che hanno 40 mila anni. Si ritrovano in Australia, per esempio nella regione di Kimberly, risalenti a 17 mila anni fa, fino alla Patagonia, nella Cueva de las Manos, prodotte 13 mila anni or sono. O nel massiccio di Gilf Kebir, nel Sahara egiziano, sempre in tempi preistorici.
Firme a cinque dita. Secondo le datazioni effettuate nel 2018 da Dirk Hoffmann, del Max Planck Institute, nelle grotte vicino a Santillana de la Mar, nel nord della Spagna, alcuni negativi di mani sarebbero stati realizzati da Neanderthal 64 mila anni fa, quindi i più antichi in Europa.
In quasi tutti i casi sparsi per il mondo, le mani sono raffigurate in positivo, cioè colorando con ocra rossa l'interno della mano, per poi usarla come stampo sulla roccia, o in negativo, mettendo la mano sulla parete e soffiandoci sopra polvere colorata (ancora ocra o cenere) in modo da lasciarne i contorni sulla roccia. Se le rappresentazioni di mani, magari iniziate per gioco, furono il primo atto artistico (o uno dei primi) quale significato simbolico assunsero?
Il più antico poteva essere quello di "firmare" la propria presenza in un luogo: sono io e sono passato di qui. Il secondo fu molto probabilmente una manifestazione di riti d'iniziazione. A questo conclusione i ricercatori sono arrivati perché di solito erano rappresentate mani di adolescenti. Ma l'archeologo Dean Snow, della Pennsylvania State University, ha invece indicato che più spesso le autrici dovevano essere donne.
Sciamane al lavoro. Si è basato sulle differenze statistiche nelle misure delle mani negli adulti dei due sessi (per esempio, nelle femmine, l'anulare di solito non è più lungo dell'indice come nei maschi), analizzando le contro-impronte di mani lasciate sulle pareti di 8 grotte francesi e spagnole. Ha potuto così stabilire che tre quarti erano di mani femminili. Se queste avevano una funzione di firma e rituale, e le figure di animali che spesso le accompagnavano erano prodotte da persone con il ruolo di sciamani che immaginavano di entrare in contatto con il mondo degli spiriti, come generalmente ipotizzano gli antropologi, non è una contraddizione. Autrici donne sono compatibili in un tale scenario. Infatti, nelle pratiche sciamaniche osservabili ancora oggi in etnie del Tibet e della Siberia, fra gli aborigeni australiani o gli indios del Sud America, non sono poche le donne sciamane.