Greenpeace, portabandiera dei "contro", è convinta che, a lungo andare (ma non poi così a lungo...), l'uso in agricoltura di piante geneticamente modificate per combattere i parassiti non può che portare a gravi danni. Stando ai critici è a rischio la biodiversità, c'è sempre la possibilità che si sviluppino parassiti resistenti e, in più, non si conoscono a fondo i potenziali effetti dannosi su organismi diversi da quelli infestanti. Ma il mercato internazionale non si ferma, e alle fila dei "pro" si aggiungono oggi molti coltivatori italiani che, soprattutto, si sentono penalizzati per via delle scelte liberiste di altri Paesi.
Susanna Trave, 18 marzo 2008
Luglio 2007, Francia: Greenpeace "marchia" un campo di mais Bt. |
tUno studio statunitense del febbraio di quest'anno lancia l'ennesimo allarme: piante geneticamente modificate per produrre la tossina Bt (che in natura viene sintetizzata dal bacillus thuringiensis e che è letale per alcuni parassiti dei cereali e del cotone) hanno indotto resistenza nel lepidottero helicoverpa zea, che attacca soprattutto il cotone e che, adesso, per essere debellato necessita di dosi elevate di antiparassitari. L'evento è stato riscontrato in Mississippi e Arkansas, in piantagioni di cotone geneticamente modificato (gm) con Bt. Viene così a mancare una delle principali motivazioni dei difensori degli Ogm (riuscire a fare a meno dei pesticidi), mentre Greenpeace aveva denunciato questo tipo di pericoli già in un rapporto del 2004.
Arriva dall'agricoltura biologica
Il bacillus thuringiensis è utilizzato dagli anni '50 nell'agricoltura "biologica e sostenibile" per eliminare insetti nocivi senza danneggiare altre forme di vita. La tossina naturale si è dimostrata selettiva e molto efficace contro alcuni organismi infestanti. Al contrario, le tossine Bt prodotte da colture transgeniche sembrano essere nocive non soltanto per i parassiti delle piante, ma anche per altri utili insetti predatori.
Si torna ai pesticidi?
I dati della ricerca si riferiscono a una popolazione limitata di helicoverpa zea resistente, identificata in una decina di campi di cotone dei due stati Usa tra il 2003 e il 2006, e circoscritta alle cosiddette "zone rifugio", ovvero quelle aree di terreno coltivato a cotone non-gm che fanno da cuscinetto (per evitare contaminazioni) tra le colture tradizionali e quelle gm. I ricercatori sottolineano, però, che l'accoppiamento del parassita Bt-resistente con individui normali porterebbe comunque a nuove generazioni di parassiti normali. E che il rischio della sua diffusione è ridotto drasticamente dall'utilizzo, nelle nuove coltivazioni di cotone gm, di pesticidi a cui l'helicoverpa zea è vulnerabile.
Il punto di vista economico
Poco meno di un anno fa Assiobiotec (Associazione nazionale delle biotecnologie) aveva reso note le stime fatte tenendo conto di quanto calcolato in Spagna, dove gli agricoltori avevano evidenziato che la piralide, un altro parassita sensibile alla tossina Bt e molto diffuso soprattutto nel mais, distrugge il cereale nei campi a coltivazione tradizionale per 415 euro per ettaro. Cosa che non accade invece nei campi di mais Bt, l'unico prodotto geneticamente modificato autorizzato per la coltivazione dall'Unione Europea. Tenendo conto della diversa realtà del nostro Paese, dove le coltivazioni gm sono completamente bandite, su 350.000 ettari di campi coltivabili a mais Bt il valore della mancata produzione è stato calcolato intorno ai 145 milioni euro.
I coltivatori lombardi dicono... sì!
Anche gli agricoltori italiani, oggi, sono più propensi a sperimentare le coltivazioni gm. Secondo una recente ricerca di Demoskopea condotta in Lombardia per conto di Assobiotec, il 67% dei coltivatori lombardi di mais sarebbe pronto a coltivare da subito ogm, mentre il 74% è favorevole alle sperimentazioni in campo aperto al fine di comprendere i reali benefici degli organismi transgenici in agricoltura. E secondo l'81% del campione è assurdo proibire la coltivazione e l'importazione di mangimi gm. Una specie di plebiscito pro ogm, insomma, col 76% dei produttori che si sente ingiustamente penalizzato rispetto ai colleghi di altri Paesi.
La ragione e la prudenza
I punti di vista sono quindi molto diversi e articolati, ciascuno con le proprie ragioni. I timori di chi si oppone alla coltivazione di piante gm sono fondati, ma a questi risponde chi afferma che per verificare una teoria è necessario osservare cosa accade nella realtà. E tra le ragioni di quest'ultimo ce n'è una a cui pochi produttori possono sottrarsi, la cosiddetta "logica di mercato". Gli agricoltori italiani temono di essere messi fuori gioco dalla concorrenza (mentre la ricerca, affermano, è già rimasta indietro). Un braccio di ferro che solamente una solida politica comunitaria potrebbe risolvere.