Scienze

Nuovi studi su genomi completi dei Neanderthal

La sequenza del Dna di alcuni fossili appartenenti ai nostri cugini Neanderthal svela legami inattesi (con noi) e pone nuove domande.

L’uomo di Neanderthal è la specie umana più vicina a noi: si è separata dalla nostra qualche centinaio di migliaia di anni fa. Lo studio del patrimonio genetico di Homo neanderthalensis permette di capire molti particolari della nostra stessa evoluzione, degli scambi di geni che sono avvenuti tra le nostre due specie e delle conseguenze sulla nostra salute, dal livello di colesterolo al rischio di schizofrenia.

Due studi pubblicati uno Pnas (abstract in inglese), l'altro su Science (qui l’abstract, in inglese), spiegano come uno dei gruppi di ricerca più famosi al mondo, quello di biologia evolutiva dei Max Planck Institutes guidato da Svante Pääbo, sia riuscito datare due individui appartenenti a H. neanderthalensis e a sequenziare con molta precisione il Dna di una femmina. I fossili, rinvenuti nella caverna di Vindija (in Croazia), risalgono a circa 40-45.000 anni fa.

Le grandi domande. I due articoli si inseriscono in un dibattito che prosegue da decenni sulla presenza di materiale genetico in apparenza neanderthaliano anche nella nostra specie: i geni che abbiamo in comune sono il risultato di accoppiamenti tra noi e i nostri cugini o sono l'eredità di una terza, precedente specie di cui non abbiamo traccia, antenato comune di neanderthal e uomini moderni (H. sapiens)? Quali ricadute hanno su di noi questi geni?

Due ricostruzioni dei fossili trovati a Jebel Irhoud (vedi su Focus.it). La datazione è di circa 300.000 anni fa. In blu è la struttura interna del cervello, differente da quella degli uomini moderni, ma anche da quella dei nostri primi cugini, gli uomini di Neanderthal. © Philipp Gunz, MPI EVA Leipzig

SALUTE DAL PASSATO. Il punto più importante delle ricerche riguarda proprio i geni neanderthaliani che si ritrovano anche nell’uomo moderno.

«In questo studio ci sono alcune novità rispetto a un lavoro precedente, sempre del nostro gruppo, che riguardava un neanderthaliano più antico, quello scoperto in Asia, sugli Altai», afferma Cesare de Filippo, ricercatore italiano del gruppo di Pääbo (Max Planck I.). «Siamo stati capaci di individuare più regioni del genoma che provengono dai Neanderthal. Essendo più recente di altri fossili studiati, questo individuo è molto vicino ai neanderthaliani che hanno contribuito al patrimonio genetico degli europei.»

L'idea che i geni in comune siano il frutto di accoppiamenti tra Neanderthal e sapiens non è condivisa da tutti (vedi a fine articolo). I tratti di Dna in comune tra noi e la specie scomparsa sono varianti geniche che influenzano il rischio connesso ai livelli di colesterolo LDL e di vitamina D. Altri sono implicati nei disordini dell’alimentazione, nell’accumulo dei grassi, nell’artrite reumatoide e nella risposta ai farmaci antipsicotici.

Lo scheletro del "bambino di El Sidrón": negli anni scorsi alcuni ritrovamenti avevano portato a pensare che il cervello dei Neanderthal crescesse più velocemente del nostro, ma nuovi studi sono giunti a conclusioni differenti. © Joan Costa

Non sappiamo ancora però se questi geni mutati aumentino o diminuiscano il rischio stesso: saranno necessarie ulteriori ricerche per stabilire se l'effetto sulla nostra salute è positivo o negativo.

lontano, lontano nel tempo. Anche la nostra storia passata è importante: la datazione riportata nell’articolo di Pnas è estremamente interessante, afferma Silvia Ghirotto, genetista del Dipartimento di biologia ed evoluzione dell’università di Ferrara: «Si pensava che i fossili di questa caverna risalissero solo a circa 29.000 anni fa, molto vicino al periodo in cui l’uomo di Neanderthal si estinse e quindi non lontano dai momenti in cui uomini moderni e neanderthaliani entrarono in contatto per l’ultima volta. Questa datazione più precisa colloca invece gli individui più indietro nel tempo».

Nell'articolo di Science il calcolo del numero di mutazioni presenti sui genomi studiati ha permesso anche di confermare che la divisione tra i Neanderthal e la nostra specie cade nell'intervallo di 520-630 mila anni fa.

Ricostruzione di un Neanderthal adulto. © Shutterstock

CHiarimenti. Dal punto di vista della genetica pura e semplice i risultati del secondo lavoro (Science) confermano almeno in parte quello che si sapeva grazie a uno studio precedente, basato su un fossile più antico, trovato sui monti Altai (in Asia). Studiato sempre dallo stesso gruppo, il fossile degli Altai insieme a questo di Vindija chiarisce alcuni momenti della vita della specie.

«Lo studio supera alcune ambiguità delle ricerche precedenti», afferma Cesare de Filippo. In questi individui, per esempio, alcune coppie di geni (ogni specie ha geni con la stessa funzione posti su cromosomi diversi) erano molto simili tra di loro; questo significa che i neanderthaliani avevano una diversità genetica molto bassa, e probabilmente vivevano in popolazioni abbastanza piccole, in cui gli accoppiamenti tra uomini e donne parenti - alla lontana - erano frequenti. Potrebbe anche voler dire che la specie, con poca variabilità genetica, era meno robusta e resistente ai cambiamenti ambientali.

Il più antico strumento musicale potrebbe avere 42.000 anni. In Germania sono stati trovati i primi esempi di strumenti musicali mai rinvenuti: si tratta di strumenti a fiato simili a flauti. Uno di questi, ottenuto dalle ossa (cave) di avvoltoio, presenta 5 fori e sarebbe stato realizzato dai primi umani moderni migrati dall'Africa in Europa. © Jensen/University of Tubingen

Incontri romantici? Secondo gli autori del lavoro su Science c’è la conferma anche del fatto che c’è stato un cosiddetto flusso genico, dovuto quindi ad accoppiamenti tra i neanderthaliani e i sapiens che vivevano in Europa al tempo.

«Anche se forse quei sapiens non erano i diretti antenati degli europei di oggi», dice Cesare de Filippo, «che provenivano invece dal Vicino Oriente. Abbiamo però la conferma che il flusso è avvenuto nelle due direzioni: alcuni geni di noi sapiens sono infatti passati ai Neanderthal, e il tutto è avvenuto oltre 100.000 anni fa.»

Come abbiamo accennato più sopra, non tutti condividono l'idea del flusso genico. Secondo Silvia Ghirotto: «I geni in comune potrebbero anche derivare da un altro fenomeno, più complesso. Potremmo ipotizzare che la popolazione che viveva in Africa ai tempi dell'antenato comune tra neandertaliani e Homo sapiens fosse in realtà formata da tante sottopopolazioni, e che quella da cui è partita la migrazione di Neanderthal e di Homo sapiens poteva essere unica.

Ciò potrebbe bastare a spiegare le somiglianze nel genoma di neandertaliani e moderni non Africani. L'altra ipotesi, quella dell'ibridazione tra le due specie, è semplicemente più parsimoniosa».

6 ottobre 2017 Marco Ferrari
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