Il premio Nobel per la Fisica 2021 è stato assegnato per la prima volta a tre studiosi - Syukuro Manabe, Klaus Hasselmann e Giorgio Parisi - che hanno dedicato la propria attenzione al cambiamento climatico, con contributi molto importanti e che vale la pena conoscere.
Quanto conta l'anidride carbonica. Gli studi di Syukuro Manabe sono stati fondamentali. È a lui, per essere molto sintetici, che dobbiamo la possibilità, per i climatologi, di prevedere di quanto aumenterà la temperatura media della superficie terrestre in base all'aumento della quantità di anidride carbonica in atmosfera.
Giapponese di nascita e per formazione, ma poi emigrato a lavorare alla prestigiosa università statunitense di Princeton nel 1958, Manabe scrive già nel 1967 un lavoro che oggi è ritenuto fondamentale per la comprensione del cambiamento climatico. In quello studio, pubblicato sul Journal of the Atmospheric Sciences, lo scienziato giapponese, insieme al collega Richard Wetherald (deceduto nel 2011), mette a fuoco due cose molto importanti. La prima è che non basta considerare l'anidride carbonica: bisogna tenere in considerazione almeno un'altra variabile e cioè il vapore acqueo, quello che determina l'umidità dell'aria. Infatti anche il vapore acqueo ha un effetto serra, cioè scherma la radiazione che arriva verso la Terra e quella che dalla Terra torna verso lo spazio, ma lo fa in modo diverso dalla CO2. La seconda cosa puntualizzata da Manabe è che l'umidità dell'aria si comporta in modo diverso a seconda della temperatura: quando l'aria è più calda può contenere più umidità.
L'atmosfera non è tutta uguale. Manabe e Wetherald sono anche i primi a realizzare un modello che stima come cambino le cose alle diverse altitudini nell'atmosfera (da un certo punto in poi l'aria si raffredda). E sono molto avanti, per l'epoca, nell'uso dei calcolatori per realizzare modelli e simulazioni, tant'è che nel 1974 firmano insieme uno studio per il quale utilizzano un modello tridimensionale dell'atmosfera. La loro stima di oltre due gradi di aumento della temperatura per un raddoppio della quantità di CO2 in atmosfera ancora oggi risulta sostanzialmente corretta, almeno nel metodo, perché in effetti è ora più vicina a 3 gradi. Eppure, nel lavoro del 1974 i due scrivono prudentemente che i risultati non vanno presi troppo alla lettera dal punto di vista quantitativo.
Global warming e guai quotidiani. Klaus Hasselmann ha dedicato la maggior parte della propria vita professionale allo studio del cambiamento climatico, ma è anche un oceanografo e per lungo tempo ha studiato i moti ondosi.
Come Manabe, del quale è coetaneo (entrambi compiono nel 2021 ben 90 anni), lo scienziato tedesco ha cominciato a occuparsi di clima, e a preoccuparsi del cambiamento climatico, molto prima che diventasse argomento di dibattito per il grande pubblico.
Il ruolo cruciale del lavoro di Hasselmann è stato di mettere in relazione il riscaldamento globale con l'aumento di frequenza e intensità dei fenomeni meteorologi. In altre parole, dobbiamo in buona parte a lui se oggi sappiamo e possiamo affermare che l'aumento della temperatura del pianeta è responsabile, per esempio, dell'aumento dei nubifragi, del maggior numero di giornate di caldo estremo, del progredire dei casi di siccità. Proprio la certezza di questo legame è un punto sul quale si sofferma in particolare il sesto rapporto sul clima dell'IPCC, e se oggi i meteorologi ne sono sicuri è proprio grazie agli studi di Hasselmann.
In effetti, la connessione tra ciò che succede a livello meteorologico giorno per giorno e il cambiamento climatico di più lungo periodo è stato a lungo un punto debole e un argomento usato dai negazionisti. Hasselmann ha contribuito a chiarire anche un altro fatto cruciale: ha mostrato che quello che sta succedendo non può essere spiegato solo da fattori naturali ed è invece il prodotto dell'azione dell'uomo - il cambiamento climatico in atto è, come si dice, di origine antropica. C'è riuscito, come Manabe, usando simulazioni al computer, indispensabili per districarsi in un sistema caotico come quello meteorologico.
Mettere ordine nel caos. Ed è proprio lo studio dei sistemi caotici ciò che lega l'italiano Giorgio Parisi ai due fisici con i quali ha condiviso il Nobel. Dei tre, Parisi è il più giovane ed è l'unico che sia strettamente un fisico teorico: progetta modelli, che verifica dal punto di vista matematico e mette poi a disposizione di colleghi di ambiti diversi. La sua specialità è quella di trovare un modo per descrivere ciò che apparentemente è impossibile descrivere in modo scientifico.
L'esempio classico del suo lavoro sono gli studi sul movimento degli stormi di storni nel cielo: è abbastanza evidente che le evoluzioni degli uccelli non sono casuali, ma è difficile capire quali regole seguano. Insomma, quello che Parisi studia e cerca di comprendere è come ciò che riteniamo caotico sia in realtà soltanto complesso e quindi possa essere decifrato, anche se non con le stesse regole che si utilizzano per sistemi ordinati o che si comportano in modo lineare - il suo ambito è anche chiamato "studio dei sistemi fisici non lineari".
Questo approccio Parisi lo ha applicato allo studio di molti casi diversi, dalle molecole del vetro alla biologia e alla meteorologia.
Anche il rumore è importante. Il suo contributo allo studio del clima della Terra è stato spiegato da un bell'articolo apparso su Nature. Quello che ha fatto il fisico italiano, professore alla Sapienza (Roma), è stato, in particolare, capire che non tutto ciò che viene considerato "rumore di fondo" sia da buttare via. Il rumore, i disturbi, ciò che copre in parte quello che si vorrebbe analizzare, dà fastidio perché impedisce di capire che cosa stia succedendo per davvero. Succede proprio come quando parole o suoni sono difficili da decifrare a causa del vocio o di altri suoni attorno.
Parisi ha capito che se si guarda bene, anche nel rumore possono essere nascoste informazioni preziose. Possono essere piccole regolarità nelle irregolarità, perturbazioni che sembrano casuali e invece si presentano con una certa frequenza. Sommandosi ad altri fattori, queste perturbazioni possono generare effetti imprevisti, per dimensione. Questo può essere di grande aiuto proprio per spiegare come sia cambiata nel corso dei secoli e dei millenni la temperatura del pianeta, ma serve anche per capire che nessuna fluttuazione casuale basta a spiegare quello che sta succedendo oggi al clima del pianeta.