Scienze

Nettie Stevens e i cromosomi X e Y

Il doodle di oggi è dedicato a Nettie Stevens, una genetista americana vissuta a fine '800 che  scoprì che la femminilità (e altre 100 caratteristiche) sono determinate dal cromosoma X. Ma che cosa sono i cromosomi X e Y? Che funzioni hanno? Che segreti nascondono?

Il 7 luglio 1861 nasceva Nettie Stevens, una genetista americana a cui dobbiamo la scoperta che il sesso di una persona dipende dalla presenza o dall’assenza del cromosoma Y. La sua storia l'abbiamo raccontata in questo articolo, sottolineando come sia stata una delle prime scienziate a occuparsi di genetica e di come sia stata vittima dell'"effetto Matilda", la sistematica sottovalutazione dei risultati scientifici conseguiti dalle donne (ed è anche forse per questo che Google gli dedica un bellissimo Doodle).

Nelle sue ricerche Stevens riuscì a stabilire che lo sperma dei maschi contiene entrambi i cromosomi che determinano il sesso, X e Y, mentre le cellule riproduttive delle femmine contengono solo il cromosoma X. Ma che cosa sono i cromosomi X e Y? Che funzioni hanno? Che segreti nascondono?

Nettie Stevens
Nettie Stevens, la prima genetista a scoprire che i cromosomi X e Y sono responsabili del sesso delle persone. © SPL/Contrasto

Identikit di Mr. X. Il cromosoma X contiene almeno 4 mila geni, distribuiti lungo un segmento di Dna che, se venisse disteso, raggiungerebbe i dieci centimetri di lunghezza. E ha proprio la forma di una x, una x lunga sei millesimi di millimetro, con le braccia superiori leggermente più corte di quelle inferiori.

Il ventitreesimo cromosoma umano, detto appunto X, appartiene all’ultima coppia di cromosomi, quelli sessuali. Sono chiamati così perché sono gli unici a essere diversi nei maschi e nelle femmine. Uomini e donne, infatti, possiedono 22 coppie di cromosomi tra loro identici, mentre l’ultima coppia distingue i maschi (che hanno un cromosoma X e un Y) dalle femmine (che hanno una doppia X).

Miniera d’informazioni. Il cromosoma X è particolarmente ricco di geni: è formato da ben 150 milioni di basi (i “mattoncini” che costituiscono il Dna) e rappresenta oltre un ventesimo dell’intero patrimonio genetico umano. Moltissimo. Finora, tuttavia, sono stati identificati solo un centinaio di questi geni, che riguardano caratteristiche diverse come i gruppi sanguigni, la vista, l’udito, il sistema nervoso, i muscoli, i denti, la pelle e il metabolismo del glucosio. Si tratta spesso di geni importantissimi che, quando non funzionano, provocano malattie molto diffuse come l’emofilia, il daltonismo, la distrofia muscolare di Duchenne e la Sindrome dell’X fragile, che causa un grave ritardo mentale.

Mini e maxi. I geni, però, non sono distribuiti in modo uniforme all’interno del cromosoma. In alcune zone sembrano essere piuttosto radi, in altre si concentrano, uno accanto all’altro. Insieme a geni piccolissimi, il cromosoma X possiede però anche il gene più grande che sia mai stato isolato: quello della distrofia di Duchenne (la più diffusa, colpisce un bambino su 3600).

È formato da ben due milioni di basi. Un altro gene piuttosto grande (186 mila basi) è quello che consente la formazione del “fattore ottavo”, una delle proteine coinvolte nella coagulazione del sangue (se non funziona provoca l’emofilia). È talmente grosso che nei suoi “introni” (cioè le parti della catena di Dna che non servono per formare la proteina) sono stati trovati altri geni.

Un gattino Calico: il suo pelo è un esempio dell’inattivazione del cromosoma X. Questa gatta ha ereditato sia il gene per il pelo rosso che quello per il nero. A causa dell’inattivazione, però, il rosso è presente solo in alcune sue cellule. © SPL/Contrasto

Quando è maschio. Mister X è l’unico cromosoma sessuale comune a uomini e donne. Però i maschi, che possiedono anche Y, ne hanno uno solo. Di conseguenza, il patrimonio genetico degli uomini ha soltanto una copia delle informazioni che si trovano su X: basta che uno di questi geni non funzioni per provocare una malattia. Le donne, invece, di solito non si ammalano perché il gene inattivo viene sostituito da quello attivo, che si trova sull’altra X, che di fatto si comporta come una ruota di scorta: la probabilità che su entrambi i cromosomi lo stesso gene non funzioni è infatti molto bassa.

Le malattie legate a X, quindi, si manifestano quasi esclusivamente nei maschi, mentre le femmine (che trasmettono il gene, ma non si ammalano) sono dette portatrici sane. È notissimo, per esempio, il caso dell’emofilia tramandata dalla regina Vittoria agli eredi maschi delle famiglie regnanti di mezza Europa, ma le malattie dovute a X sono moltissime. L’ittiosi, l’albinismo oculare, alcune forme di nanismo, la sindrome di insensibilità agli androgeni, almeno 50 forme di ritardo mentale e il comunissimo daltonismo (che interessa l’8 per cento dei maschi) vengono trasmesse con queste modalità: perché gli uomini le ereditino basta che siano figli di una donna portatrice.

Quando è femmina. Con due cromosomi X, le donne sono quindi ben protette da alcune malattie. In teoria, però, le loro cellule dovrebbero contenere migliaia di geni in più (appunto quelli che si trovano sulla seconda X) rispetto agli uomini. Uno squilibrio pericoloso per la cellula, visto che troppe informazioni sono dannose al metabolismo: proprio come quando sono troppo poche. Come fa allora l’organismo femminile a risolvere questo problema? Semplice: in ogni cellula “spegne” uno dei due cromosomi X. Insomma, le informazioni in più restano, ma non vengono espresse.

È il fenomeno dell’inattivazione di X. Avviene nella seconda settimana di vita embrionale: in alcune cellule resta attivo il cromosoma X ereditato dal padre, in altre quello ereditato dalla madre. I ricercatori ignorano che cosa guidi la cellula nella scelta del cromosoma da inattivare, ma una volta che la decisione è presa, è presa per sempre.

Per esempio, le cellule che deriveranno da quelle in cui è stato inattivato l’X paterno, avranno attivo sempre e solo il cromosoma materno. Le donne, quindi, sono in realtà un mosaico di cellule in cui funziona o l’X ereditato dal padre o quello ereditato dalla madre.

Il risultato dell’inattivazione è davvero efficace: ogni cellula è come se avesse una X sola, proprio come succede negli uomini, ma se si considera l’organismo femminile nel suo complesso, entrambe le X si esprimono. Se l’inattivazione non funzionasse l’embrione non potrebbe sopravvivere: una dose doppia dei geni di X, che sono moltissimi, sarebbe letale per lo sviluppo. Basta vedere cosa succede nella sindrome di Down, dove il cromosoma 21 in più, che è piccolissimo, provoca conseguenze enormi sull’organismo.

Ogni figlio, che ha 46 cromosomi, ne riceve 23 da ciascun genitore. Quando si ricrea la coppia dei cromosomi sessuali XX sarà femmina. Se la coppia è XY sarà maschio.

Come si trasmette il sesso nelle varie specie. I cromosomi sessuali X e Y non sono un’esclusiva dell’uomo: li possiedono anche gli animali, soprattutto tutti gli altri vertebrati e molti invertebrati. Ma con qualche differenza.

Uccelli, farfalle, alcuni pesci, anfibi e rettili hanno i cromosomi sessuali invertiti: quelli dei maschi sono tra loro identici, quelli delle femmine diversi. Anziché X e Y, vengono chiamati Z e W (gli ZZ sono maschi, gli ZW femmine), ma si comportano in tutto e per tutto come i cromosomi sessuali umani. Naturalmente, a causa di questa inversione, i geni “recessivi” legati a Z si manifestano più frequentemente nelle femmine che nei maschi (che sono portatori).

Un esempio? Le galline a piumaggio non striato sono molto più numerose dei polli e dei galli con la stessa caratteristica: per ereditare il piumaggio non striato, infatti, è sufficiente che le femmine siano figlie di un gallo portatore, mentre i maschi devono avere entrambi i genitori non striati (oppure la madre non striata e il padre portatore).

Api senza padre. Nella maggior parte degli insetti (emitteri, ditteri e coleotteri) i cromosomi sessuali esistono, ma solo X determina il sesso dell’individuo: se X è uno solo si ha un maschio, se sono due una femmina. Nel moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), studiato anche da Nettie Stevens, Y non è determinante per il sesso maschile, ma per la fertilità (contiene i geni che influenzano la produzione degli spermatozoi). In alcune specie, come la cavalletta, invece Y manca del tutto. La determinazione del sesso nelle api e nelle formiche è di un altro tipo ancora: se l’ovulo viene fecondato si ha una femmina, altrimenti nasce un maschio.

Il risultato è che i maschi di questi insetti hanno la metà dei cromosomi delle femmine e hanno un solo genitore, la madre.

Sesso da gruppo. A volte il sesso non dipende dai cromosomi. L’anellide Dinophilus apatrix, per esempio, produce uova di due tipi: dopo la fecondazione quelle piccole daranno origine ai maschi, quelle grandi alle femmine. Le larve di un altro verme che vive lungo le coste, Bonellia viridis, invece si sviluppano come femmine se crescono isolate, come maschi se vivono in un ambiente dove si trovano già femmine adulte.

7 luglio 2016 Raffaella Procenzano
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