Il 21 luglio 1969 alle 4 e 57 ora italiana, un uomo, per la prima volta, posa il piede sulla Luna. Quell’uomo si chiamava Neil Armstrong. Era nato il 5 agosto 1930. Nulla faceva trasparire le doti che gli permisero di arrivare fin lassù: alto 1,80, occhi azzurri, pesava 74 kg. Era un “normale” americano e di lui dicevano gli amici: “è modesto, serio, coscienzioso”. E’ laureato in ingegneria aeronautica, durante il periodo di leva, compì, come pilota, un’ottantina di missioni in Corea, in operazioni che gli sono valse più medaglie al valore. Tale esperienza lo porta a diventare un collaudatore di aerei sperimentali. Con l’X-15, ad esempio, è uno dei pochi uomini a raggiungere i 70 km di quota a 6.000 km all’ora. Numerosi sono i voli durante i quali Armstrong si viene a trovare faccia a faccia con la morte, ma la sua destrezza gli permette sempre di uscire indenne dai numerosi incidenti. Quando lascia il Dryden Flight Research Center ha volato per 2.450 ore con più di 50 aerei sperimentali differenti.
Entra a far parte della Nasa
Nel frattempo ha inviato domanda per entrare nel corpo degli astronauti. La Nasa, visto il curriculum, lo chiama il 13 settembre 1962 e dopo aver superato gli esami psicoattitudinali, entra a far parte del “New Nine”, il gruppo dei 9 nuovi astronauti da cui, molto probabilmente, sarebbe stato scelto l’uomo che per primo avrebbe calcato il suolo della Luna. Armstrong è il primo astronauta civile. La sua freddezza diviene rinomata soprattutto dopo il volo di Gemini 8. La missione doveva essere tra le più complesse realizzate fino a quel momento. Prevedeva un docking, ossia un aggancio nello spazio con un’altra navicella, un’attività extraveicolare e doveva durare 75 ore per un totale di 55 orbite. Ma un errore dettato da una non corretta procedura quando la Gemini è agganciata alla navicella Agena, crea una forte instabilità alla Gemini stessa quando si stacca da quest’ultima. La navicella infatti, inizia a ruotare vertiginosamente su se stessa e in molti pensano ad una tragica fine. Con una velocità di rotazione di un giro al secondo, al limite della perdita dei sensi, Armstrong riesce a fare quanto è stabilito di compiere in una simile situazione e ritorna a controllare la navicella. Successivamente, a terra, durante una prova di allunaggio con un velivolo simile al modulo lunare si ritrova un’altra volta in una situazione drammatica. Il veicolo inizia a precipitare senza controllo da alcune centinaia di metri d’altezza. Può essere la fine, ma a 4 secondi dall’impatto con il suolo, Armstrong spinge il tasto dell’espulsione e viene catapultato verso l’alto. Il paracadute lo depone incolume sul prato circostante. Sarà questa sua freddezza a farlo diventare il numero uno, l’uomo adatto a far scendere il modulo lunare sul nostro satellite ed essere il primo uomo a scendere sulla Luna.
Ma fu davvero un eroe?
Si certo, lo fu davvero. Davvero perché il modulo lunare e lo stesso Saturno 5 che lo lanciò sulla Luna non erano mezzi così affidabili come si sarebbe potuto pensare. Il computer di bordo della capsula Apollo, ad esempio, non era in grado di gestire completamente tutti i dati del razzo e nel caso di un incidente nelle prime fasi dopo la partenza difficilmente la torretta di salvataggio sarebbe entrata in azione. E questo gli astronauti lo sapevano, anche se non ne parlavano né con i tecnici, né tra loro. Avevano scelto di partecipare a quella missione e quella missione volevano portare a termine a qualunque costo e rischio.
Era davvero un eroe, perché il computer che serviva a guidare il modulo lunare era almeno 100.000 volte meno potente di un qualunque cellulare intelligente dei nostri giorni. Spesso un eccesso di dati lo mandava in tilt. Ed è quello che successe anche durante la discesa. Un altro uomo, forse, avrebbe dato ascolto al computer quando accese la luce rossa di pericolo che significava accendere immediatamente il motore per tornare alla capsula Apollo in orbita attorno alla Luna. Armstrong invece, seguì il suo istinto, la sua esperienza che gli diceva che tutto era in ordine e andò avanti, fino a far posare il modulo lunare sulla Luna. Armstrong (ma anche Aldrin) immaginava che ci fosse già pronto un discorso che Nixon avrebbe letto al mondo intero in caso di morte sulla Luna (Il destino ha ordinato agli uomini che sono andati sulla Luna per esplorarla in pace, di rimanerci altrettanto in pace. Questi uomini coraggiosi, Neil Armstrong e Edwin Aldrin, sanno che non c’è speranza per il loro recupero. Ma sanno anche, che c’è speranza per l’umanità nel loro sacrificio…)
L'unica foto decente di Armstrong durante la passeggiata lunare.
Era davvero un eroe, ma anche un uomo. E il suo essere uomo trasparì quando chiese a Houston, una volta allunati, di poter scendere subito sulla Luna e di non seguire la tabella della missione che voleva che gli astronauti (lui e Aldrin) trascorressero 8 ore di riposo. Gli venne concesso di scendere subito sulla Luna, perché ad un eroe si possono concedere queste cose.
Era davvero un eroe perché quando tornò a Terra, rimase quell’uomo che era prima di partire. Non si fece montare la testa. Continuò la sua vita di sempre. Forse il suo cuore batteva come quello di nessun altro quando alzava gli occhi alla Luna, ma rimase semplice, umile, a disposizione di tutti. Avrebbe potuto sfruttare al massimo la sua popolarità ed invece era schivo, concedeva interviste quando la Nasa lo obbligava. Lo si vedeva in televisione alla scadenze del decimo, del ventesimo… anniversario.
Un piccolo cratere sulla Luna vicino al sito dell'allunaggio dell'Apollo 11 porta il suo nome e l'asteroide 1982 PC è stato chiamato in suo onore “6469 Armstrong.