Credi che la musica sia solo un "fatto culturale"? Ti sbagli. È il patrimonio genetico della nostra specie. Lo rivela un nuovo studio neurologico, condotto su persone che di musica non ne ascoltano mai: gli "amusici".
Carolina Borella, 23 gennaio 2008
Un rumore di piatti e pentole gettati sul pavimento: ecco che cosa sentono, al posto della musica, le persone affette da amusia (dal greco a-musìa, mancanza di armonia). Niente di piacevole, insomma. In forme più o meno gravi, il 4% della popolazione mondiale soffre di questa patologia, molto spesso congenita, detta anche "sordità tonale". Il cervello degli amusici non riesce a codificare l'intera gamma di variazioni tonali, armoniche e ritmiche di un brano, né a distinguere una melodia dall'altra.
|
||||||
Ciò che ha sorpreso i ricercatori dell'Università di Montreal e del Brams (International Laboratory for Brain, Music and Sound Research) è che l'amusia non è la conseguenza di un deficit organico, anzi: negli amusici le aree cerebrali deputate alla percezione del suono sono più sviluppate del normale. Un'evidenza cui sono giunti studiando due gruppi di ascoltatori, l'uno affetto dalla patologia e l'altro sano, con nuovi metodi applicati alla risonanza magnetica funzionale sul cervello (fMriB, functional magnetic resonance imaging of the brain). La materia grigia aumenta proprio nei punti in cui viene elaborato il messaggio musicale, ovvero nella corteccia uditiva destra e nel giro frontale inferiore. E per la prima volta gli studiosi avanzano l'ipotesi che il fenomeno possa dipendere da una qualche anomalia del cell pruning, quel meccanismo regolatore con cui il nostro organismo elimina le cellule in eccesso durante lo sviluppo dell'embrione (vedi GLOSSARIO) e nei primi mesi di vita. Nel cervello, questa operazione di pulizia porta al dimezzamento delle cellule neuronali dopo il secondo anno di età: nelle persone affette da amusia, ipotizzano i ricercatori, il cell pruning non ha funzionato a dovere e non sono state eliminate abbastanza cellule nelle aree cerebrali interessate alla percezione del suono. Questo spiegherebbe l'addensamento di corteccia.
Problemi di connessione
Ma allora, se la materia grigia aumenta proprio nelle aree musicali del cervello, come mai la capacità di comprendere la musica diminuisce nei soggetti con amusia? Perché il problema, in realtà, sta nella comunicazione tra le diverse regioni della materia grigia, per mezzo di neuroni specializzati. Lo spiega Isabelle Peretz, che studia questa patologia da oltre vent'anni: «l'amusia non è un problema funzionale dei sensi, e la musica non è solo un diletto per le orecchie...». La scoperta fatta dai ricercatori dell'Università di Montreal conferma a questa idea: l'elaborazione dell'informazione musicale ha una base soprattutto genetica, che coinvolge diverse parti del cervello.