Affacciandosi alle finestre della base italiana "Mario Zucchelli", costruita sulle coste del Mare di Ross in Antartide, è possibile ammirare uno dei vulcani più belli di questo continente, il Mount Melbourne.
Il gigante in attività. Alto 2.732 metri e coperto quasi completamente dal ghiaccio, questo gigante dista solo 40 km dalla base italiana e dalle vicine basi Jang Bogo (sudcoreana) e Gondwana (tedesca). Il Mount Melbourne è situato nella Victoria Land, una regione in cui a partire dall'epoca detta Oligocene (33 milioni di anni fa) si è sviluppata un'intensa attività vulcanica lungo il margine occidentale del Mare di Ross.
L'imponente sequenza di eruzioni ha dato vita al cosiddetto McMurdo Volcanic Group, di cui il Mount Melbourne fa parte insieme al Mount Rittmann, scoperto dal prof. P. Armienti dell'Università di Pisa, durante la campagna italiana in Antartide 1988-89.
Le fumarole. Il Mount Melbourne è uno stratovulcano (un vulcano il cui cono è formato da stratificazioni successive di lava, cenere e rocce) quiescente: l'ultima eruzione è avvenuta infatti circa 100 anni fa ed è quindi considerato un vulcano attivo. La sua sommità è caratterizzata da un cratere largo 1 km ricoperto di neve e circondato da diversi coni di scorie che hanno prodotto la maggior parte delle bombe vulcaniche che affiorano nell'area sommitale.
Lungo il bordo del cratere sono presenti fumarole, ovvero zone dove gas e liquidi ad alta temperatura, risalendo attraverso l'edificio vulcanico, raggiungono la superficie terrestre.
Camini ghiacciati. Questi fluidi caldi formano delle cavità dette "grotte di ghiaccio" (ice caves) che sono state identificate alcuni anni fa grazie alla presenza in superficie dei "camini ghiacciati": si tratta di punti che sono poi serviti agli speleologi come ingresso per calarsi all'interno delle cavità e poterle studiare.
Infatti, grazie al calore emanato dai fluidi, le ice caves ospitano forme di vita uniche (batteri, alghe e licheni) tanto che l'area sommitale del Mount Melbourne è stata inserita tra le 72 zone ultra-protette del continente bianco (Antarctic Specially Protected Areas - ASPA).
«Essendo un vulcano attivo sono possibili eruzioni future, principalmente di tipo esplosivo», afferma Paola Del Carlo, ricercatrice presso l'INGV Sezione di Pisa, «con la formazione di colonne eruttive di cenere che i venti potrebbero trasportare fino a colpire le stazioni di ricerca, come la base italiana, che si trovano vicino al Mount Melbourne».
Qualche rischio c'è. Anche se il Melbourne è un vulcano remoto, le nuove eruzioni potrebbero avere un impatto su scala regionale per la circolazione aerea sull'Antartide e su scala globale per quanto riguarda il clima.
I rischi delle eruzioni vulcaniche antartiche sono poco conosciuti e a tale scopo gli scienziati italiani hanno avviato un programma di ricerca vulcanologica sul Mount Melbourne, istituendo un osservatorio vulcanologico dal 1988.
Sono state installate stazioni sismiche e, tra il 1999 e il 2001, una rete di stazioni di misurazione geodetica intorno alla Baia Terra Nova. Più recentemente, dal 2016, nel corso del progetto multidisciplinare ICE-Volc finanziato dal PNRA (Programma Nazionale Ricerche in Antartide) sono state installate stazioni sismo-acustiche e geochimiche permanenti anche dentro le ice caves e sono stati eseguiti rilievi geologici che hanno permesso di scoprire e campionare depositi di tefra (ceneri vulcaniche) nel ghiaccio prodotti da eruzioni non ancora conosciute.
Nonostante la covid. «Quest'anno, a causa della pandemia, la XXXVI spedizione italiana in Antartide è stata organizzata con un numero limitato di tecnici e ricercatori», conclude Paola Del Carlo. «Tuttavia grazie all'impegno logistico del personale ENEA e alla grande abnegazione dei colleghi che si sono resi disponibili, è stato possibile recuperare i dati acquisiti durante l'inverno australe (segnali sismici e geochimici), permettendo così di verificare lo stato del vulcano».
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L'AUTORE: Federico Pasquaré Mariotto, geologo, è Professore Associato di Comunicazione delle Emergenze Ambientali all'Università degli Studi dell'Insubria (Varese).