La fotosintesi è quasi sicuramente uno dei processi biologici più diffusi a livello planetario, ma - per quanto "naturali" - alcuni suoi passaggi non sono il massimo dell’efficienza, anzi: se dovessimo giudicare una delle nostre tecnologie con un rendimento altrettanto basso... la butteremmo via senza pensarci due volte.
Uno degli elementi meno efficienti del processo di fotosintesi è un enzima particolarmente poco efficace nel lavoro che deve fare: un gruppo di biochimici inglesi dell’Imperial college di Londra, guidati da Laura Barter, vuole ora cercare di migliorare l’intero processo cambiando le condizioni attorno di quell’enzima. Intervenendo cioè direttamente nel processo naturale.
Funziona, ma... La RuBisCO (ribulosio bisfosfato carbossilasi) è l'enzima che ha il compito di iniziare la produzione di zuccheri (l'obiettivo della fotosintesi) attaccando una molecola di CO2 a un altro composto. Purtroppo la RuBisCO ha un problema: è nata ed evoluta miliardi di anni fa, quando l’atmosfera era povera o addirittura priva di ossigeno. Alle condizioni odierne, in cui l‘ossigeno atmosferico è al 21%, la sua capacità di legare l’anidride carbonica è "disturbata" dall’ossigeno stesso, che si lega all'enzima.
Il risultato di questa interferenza è che l’efficienza del processo fotosintetico è di circa il 2-3%, molto bassa.
Più cibo per tutti. La necessità di aumentare la produzione agricola mondiale per sfamare i (previsti) 10 miliardi di abitanti del molto prossimo futuro ha spinto molti biologi molecolari a darsi da fare per migliorare la fotosintesi. L’idea di Laura Barter è quella di dare una mano alla RuBisCO sintetizzando particolari molecole particolari che hanno la capacità di assorbire e rilasciare l’anidride carbonica. Dopo averle distribuite sulle piante coltivate “come se fossero dei fertilizzanti”, arricchirebbero di CO2 il micro ambiente locale aumentando la resa delle coltivazioni.
Siamo proprio sicuri? I dubbi non mancano. È vero che l’enzima non è particolarmente efficiente, tanto che le piante ne producono in quantità apparentemente esagerate (è stato definito il composto organico più comune sul pianeta), ma potrebbe avere altre funzioni non ancora note, oltre a quella di fissare la CO2.
Struttura e funzioni della RuBisCO potrebbero essere, come spesso accade in evoluzione, un compromesso tra compiti diversi. Lo fa sospettare, per esempio, il fatto che la RuBisCO delle alghe è più efficiente di quella delle piante terrestri nel condurre la reazione.
L'invenzione dell’acqua calda. Inoltre, c'è un gruppo di piante, il mais, che è già riuscito ad aumentare l’efficienza della RuBisCO "naturalmente", cambiando le condizioni della cellula: sono le cosiddette piante C4, che tengono l’enzima in alcuni "compartimenti" separati che arricchiscono di CO2.
È questa la soluzione giusta? È un bell'adattamento, ma no, non è la soluzione giusta da perseguire in modo estensivo. In particolare perché l'aumento della concentrazione di anidride carbonica a disposizione della RuBisCO si traduce in un processo energeticamente molto costoso, che alla fine vanifica i vantaggi. Non è infatti un caso che le piante C4 siano solo il 5% delle specie vegetali.
In definitiva, è possibile che l’uomo riesca ad aumentare l’efficienza della fotosintesi, ma il fatto che la natura non ce l’abbia fatta in circa 3 miliardi di anni dovrebbe fare pensare che il lavoro non è così semplice come lo si dipinge, oltre al fatto che - forse - sarebbe anche opportuno chiedersi quali sarebbero le conseguenze di un tale cambiamento: se non l'ha fatto da sé la natura (l'evoluzione), forse c'è un motivo.