La storia tragica di Charlie Gard, il bambino di dieci mesi in fin di vita in un ospedale di Londra, cui i genitori non vogliono togliere il supporto vitale che per i medici è ormai solo inutile accanimento terapeutico, ha portato alla ribalta un malattia rarissima, appartenente a una classe più ampia di malattie genetiche, poco conosciute, le malattie mitocondriali.
Rispondiamo alle domande che tutti ci stiamo facendo leggendo la storia con l’aiuto di Barbara Garavaglia, direttrice dell’Unità operativa di neurogenetica molecolare e del Centro Fondazione Mariani per lo Studio delle Malattie Mitocondriali Pediatriche dell’Istituto neurologico Besta di Milano.
Che cosa sono le malattie mitocondriali?
In senso lato sono le patologie che coinvolgono i mitocondri, organelli contenuti in tutte le cellule, ed essenziali ai processi della vita in quanto producono energia. Ultimamente, in molte malattie, dai tumori alla sclerosi multipla al morbo di Parkinson e di Alzheimer, sono stati osservati malfunzionamenti dei mitocondri, ma nelle malattie mitocondriali vere e proprie c’è un difetto che coinvolge una proteina specifica essenziale per la loro costruzione o il loro funzionamento. Esistono centinaia di malattie mitocondriali diverse. Ciascuna, presa singolarmente, è rara, ma nel loro insieme rappresentano le più frequenti malattie genetiche nell’uomo: la loro frequenza stimata è di circa un individuo su 4mila.
Quali sono i sintomi?
Sono molto variabili. Può essere coinvolto un solo organo, come il cuore, il fegato, gli occhi, i muscoli, ma spesso più di uno, e di solito quelli a maggior richiesta energetica, come il cervello o i muscoli. Di conseguenza i sintomi possono essere più o meno gravi. In alcuni casi la malattia può manifestarsi già nell’utero o a poche ore dalla nascita, in altri dopo i primi anni di vita o perfino in età adulta.
Da quale malattia specifica è affetto Charlie?
Appartiene a un sottogruppo delle malattie mitocondriali, quello delle malattie da deplezione del DNA mitocondriale, che sono le più rare della categoria. In questi casi, per la mutazione di un gene di cui i genitori sono entrambi portatori sani, il DNA mitocondriale, contenuto in più copie in ogni mitocondrio - e necessario perché questi organelli possano svolgere la loro funzione - è presente in quantità minori o è del tutto assente. Il risultato è che nei vari tessuti queste centrali per la produzione di energia non funzionano correttamente. A seconda del gene interessato dalla mutazione, i diversi tessuti possono essere colpiti in modo differente, e la malattia manifestarsi prevalentemente nei muscoli, nel fegato, o nel sistema nervoso.
Nel caso di Charlie a essere colpito è il gene RRM2B. Di questa variante sono noti meno di venti casi al mondo.
Esistono terapie?
Non esiste terapia risolutiva per alcuna malattia mitocondriale. In alcuni casi si possono effettuare terapie di supporto, per esempio con la somministrazione di sostanze particolari o di vitamine, che servono per alleviare i sintomi o in alcuni casi per non far progredire la malattia. L’efficacia della terapia varia da paziente a paziente, dipende dal difetto genetico e dalla gravità dei sintomi. Di recente, in alcuni bambini con una variante che colpisce il fegato, è stato fatto il trapianto dell’organo, e ad oggi i primi piccoli pazienti trattati in questo modo stanno bene.
Si è parlato di una sperimentazione negli Stati Uniti...
È una terapia sperimentale che per ora ha riguardato solo cellule in coltura e animali: topi a cui sono state somministrate alte dosi di precursori del DNA mitocondriale, mancante nella malattia. I risultati sono stati promettenti, ma il deficit in questo caso riguardava il gene TK2, che non è lo stesso coinvolto nella malattia di Charlie. Nulla consente di dire che la stessa terapia potrebbe servire al bambino, oltre al fatto che i danni già provocati in lui dalla malattia sono irreversibili.
Come viene fatta la diagnosi?
Essendo patologie clinicamente molto variabili, possono essere difficili da diagnosticare. In genere, una malattia mitocondriale deve essere sospettata in tutti i pazienti che presentino sia segni di coinvolgimento del sistema nervoso centrale e periferico, sia di altri organi non correlati tra loro, con un decorso progressivo. Esami di laboratorio e indagini come la risonanza magnetica possono fornire ulteriori indizi. La diagnosi certa viene comunque sempre stabilita in centri specializzati dove vengono effettuate sia analisi di tipo enzimatico sia test genetici: nel nostro centro possiamo analizzare in contemporanea più di 300 geni coinvolti nelle malattie mitocondriali.
Si possono prevenire queste malattie?
Per ora la prevenzione è solo di tipo prenatale. Nel caso in cui si sappia che i genitori sono portatori di mutazioni in uno specifico gene, perché è già stata fatta la diagnosi in un figlio affetto dalla malattia, come nel caso di Charlie, una coppia può scegliere di effettuare una diagnosi prenatale entro la decima settimana di gestazione, e sapere così se l’embrione sarà malato oppure sano. Oppure effettuare una diagnosi genetica pre-impianto, che consente di conoscere la costituzione genetica degli embrioni prima del loro trasferimento in utero. Questa tecnica può essere applicata anche se la mutazione riguarda il DNA mitocondriale, trasmesso solo dalla madre.
In Italia sono ormai 8 i centri che offrono la diagnosi genetica pre-impianto, due pubblici, a Milano e a Cagliari, e sei convenzionati.
Sui giornali si è parlato della tecnica dei “bambini con tre genitori”, come prevenzione prenatale di alcune malattie mitocondriali. Di che cosa si tratta?
Se la mutazione riguarda il DNA mitocondriale, trasmesso solo dalla madre, e non una mutazione nel DNA nucleare di entrambi i genitori, da pochissimo tempo è stata sviluppata una tecnica particolare, legale al momento in Gran Bretagna. Consiste nell’effettuare la fecondazione in vitro e sostituire, con alcune tecniche molto complesse, i mitocondri malati trasmessi solo dalla madre con quelli di una donatrice sana. Se ne è parlato come dei “figli con tre genitori”, perché il bambino nato grazie a questa tecnica avrebbe il patrimonio genetico del padre e della madre e il Dna mitocondriale della donna che ha fatto da donatrice dei mitocondri. Il primo bambino venuto al mondo con questa tecnica, dopo che due suoi fratellini erano morti a pochi anni di vita per una malattia mitocondriale (la sindrome di Leigh) è nato ad aprile dell’anno scorso in Messico.