Avete provato il surf e avete rinunciato? Non sentitevi in colpa. Cavalcare le onde del mare sulla tavola equivale a un corso accelerato di meccanica classica: solo alla fine si impara a trovare un perfetto punto di equilibro tra forze fisiche che cambiano rapidamente e agiscono in direzioni diverse.
Il surf e Archimede. Anche con il mare in bonaccia e limitandosi a stare a pancia in giù sulla tavola, si mettono in competizione gravità e spinta di Archimede. La prima spinge il surfista e la sua tavola verso il basso, la seconda risponde con una forza diretta verso l'alto, pari al peso dell'acqua spostata.
Essendo la tavola fatta di un materiale meno denso dell'acqua sottostante, su di essa la spinta al galleggiamento prevale. Poi c'è l'onda, naturalmente, fenomeno fisico per eccellenza. Un trasferimento di energia da molecola d'acqua a molecola d'acqua, che può attraversare il mare per chilometri; vicino alla costa, la parte inferiore dell'onda produce attrito con il fondale, mentre quella superiore si alza e produce una cresta.
Entra in gioco anche la tensione superficiale, che è la forza che fa sì che le molecole d'acqua si attraggano l'una con l'altra creando una sorta di pellicola: contribuisce a mantenere la forma dell'onda e aiuta la tavola a galleggiare. Come ogni surfista sa, quando l'onda si avvicina non basta stare fermi e aspettarla. Bisogna anticiparla e nuotare per prendere velocità prima di essere raggiunti.
E c'entra anche Newton. Idealmente, il surfista dovrebbe farsi trovare alla stessa velocità dell'onda, cioè con abbastanza energia cinetica perché all'onda basti trasmettergliene solo un pochino, per tenere in movimento la tavola e vincere l'attrito dell'acqua, che altrimenti la fermerebbe nel giro di pochi metri. Una perfetta dimostrazione della prima legge di Newton, che dice che un oggetto in moto rettilineo uniforme tenderà a continuare a muoversi.
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Tratto dall'articolo di Nicola Nosengo pubblicato su Focus 346 - agosto 2021.