Di Lucy, la nostra antenata vissuta in Etiopia 3,2 milioni di anni fa, sappiamo che era alta circa un metro, che camminava in posizione eretta e che probabilmente dormiva sugli alberi.
Ora il ritratto dell'Australopithecus afarensis sembra arricchirsi di un nuovo particolare: l'ominide potrebbe aver trovato la morte precipitando da un ramo. Lo sostiene un articolo pubblicato su Nature, che divide nettamente la comunità scientifica.
Cold case. John Kappelman, antropologo dell'Università del Texas di Austin, ha analizzato le crepe presenti sul celebre fossile, attraverso TAC ad alta risoluzione e ricostruzioni 3D. Secondo lo scienziato, molte di esse sarebbero fratture da trauma compatibili con quelle causate da una caduta di diversi metri. Lucy potrebbe essere morta cadendo da un albero, magari dopo essersi posata su un ramo marcio, come accade talvolta agli scimpanzé.
Curiose somiglianze. Insieme al collega ortopedico Stephen Pearce, Kappelman ha identificato fratture da compressione in più di 12 ossa, inclusi cranio, colonna vertebrale, caviglie, tibie, ginocchia e anche.
Una di queste, sulla spalla destra, ricorda le fratture "a legno verde", in cui l'osso si piega e forma alcune crepe, tipiche di quando ci si protegge da una caduta portando avanti le mani. Lucy, che pesava meno di 30 kg, potrebbe essersela causata precipitando da 15 metri di altezza, come si vede in questa animazione del Guardian.
Calpestato. Ma l'ipotesi lascia scettica gran parte della comunità di paleontologi. Primo tra tutti, Donald Johanson, che 40 anni fa scoprì il fossile di Lucy nella regione di Afar, in Etiopia. Le crepe sono simili a quelle trovate su altri fossili di ominidi, e riconducibili alle enormi forze di compressione che i sedimenti imprimono sui fossili. L'australopiteco potrebbe anche essere stato schiacciato da animali in fuga, e senza una datazione delle "fratture" la teoria di Kappelman è impossibile da verificare.
In buona compagnia. Per Tim White, paleoantropologo dell'Università della California a Berkeley, le crepe - note da tempo - non sono che una semplice routine nel processo di degradazione delle ossa. Potremmo trovarne sui resti di qualunque mammifero, e gli autori non riescono a provare che queste si formarono al momento della morte. Ne esaminano selettivamente solo alcune - quelle che si adattano alla loro ipotesi - tralasciando di spiegare tutte le altre.