Scienze

Lotta al coronavirus: entra in campo l’astrofisica

Stampa 3D, app per individuare i sintomi, sterilizzazione UV, sensori ispirati ai rover marziani. Così la comunità degli astrofisici dà il suo contributo alla guerra contro il Covid-19.

Mentre il mondo si ferma per ostacolare l'invasione del nuovo coronavirus, un fronte sempre più ampio di scienziati sta ridefinendo a tempo di record le sue strategie, allineando i propri sforzi contro il nemico comune. E così, in tutto il mondo, fisici, ingegneri, biologi offrono il meglio delle proprie risorse per limitare i contagi e aiutare medici e infermieri che si trovano a operare in prima linea. Uno dei contributi più sorprendenti arriva da chi, normalmente, punta i propri occhi verso il cielo, come ci spiega Nicolò D'Amico, presidente dell'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf): le stampanti 3D dei laboratori sono state riprogrammate per realizzare adattatori per i respiratori; i ricercatori si stanno applicando per realizzare nuovi sistemi per il monitoraggio a distanza dello stato di salute del persone; si stanno sperimentando nuovi metodi di sterilizzazione basati sui raggi ultravioletti. E molto altro ancora.

L'epidemia di Covid-19 ha costretto a casa miliardi di persone in tutto il mondo. In che modo è stata interessata la comunità degli astrofisici?

In linea di principio, con i moderni osservatori è possibile operare da remoto, purché sia presente un operatore che garantisca il rispetto delle norme di sicurezza. Nella pratica, però, per noi l'operatività è diminuita gradualmente. In questi giorni, l'European Southern Observatory (Eso) ha messo in pausa le sue attività, così come ha fatto il nostro Telescopio nazionale Galileo (Tng) alle Canarie, e come ha fatto il Large Binocular Telescope in Arizona, di cui siamo comproprietari. Proprio oggi (3 aprile) ho appreso che alcuni radiotelescopi della rete Vlbi giapponese sono anch'essi in pausa. In Italia, stiamo mantenendo l'operatività del grande radiotelescopio della Sardegna (Srt) solo per quelle osservazioni che possono essere condotte in remoto.

In una situazione del genere, come riuscite a portare avanti il lavoro?

La ricerca prosegue, per esempio, attraverso l'analisi dei dati - ai quali i ricercatori accedono collegandosi da casa - e per mezzo di video riunioni. È anche possibile lavorare allo sviluppo di nuovi progetti, sempre da casa. Siamo tutti coinvolti in grandi collaborazioni internazionali. E, se la rete globale tiene il passo, questo periodo può essere ben gestito. Ma in questo frangente abbiamo deciso di fare qualcosa in più, per dare il nostro contributo al superamento della situazione attuale.

In che modo, dunque, le tecnologie e le competenze sviluppate nel campo dell'astrofisica possono essere d'aiuto?

Nella nostra attività, siamo abituati a sviluppare dispositivi di avanguardia in tutti i settori: dalle ottiche alla meccanica, dall'elettronica al trattamento di materiali in ambiente pulito. E disponiamo di laboratori e officine di avanguardia, che offrono applicazioni interdisciplinari. Per esempio, è emersa di recente una nuova possibilità di aiutare i pazienti con difficoltà respiratorie, adattando alcune maschere da sub già presenti in commercio. È possibile infatti - per mezzo di stampanti 3D – realizzare particolari adattatori che permettono di convogliare ossigeno all'interno delle maschere. E l'Istituto ha subito messo a disposizione le stampanti 3D presenti nei laboratori di astrofisica, che normalmente utilizziamo per realizzare prototipi di componenti di telescopi.

Questo è solo un esempio, che abbiamo avviato subito. Ma ci stiamo muovendo in molte direzioni. In tutte le applicazioni connesse al trattamento delle immagini, al monitoraggio remoto, e in generale alla telemedicina, le tecnologie sviluppate in astrofisica per esplorazioni da Terra e dallo spazio trovano un immediato campo di applicazione.

Può fare qualche esempio di trattamento delle immagini e di monitoraggio remoto?

Stiamo pensando a telecamere a infrarossi capaci di individuare persone con la febbre in ambienti affollati come i supermarket, proprio perché i raggi infrarossi che usiamo per studiare stelle e pianeti riescono a distinguere molto bene la temperatura. Oppure pensiamo a test di colorimetria effettuabili con lo smartphone: basterebbe puntare la telecamera su pelle e occhi per identificare (con una app) alcuni possibili segni della malattia. E proponiamo anche di usare piccoli palloni aerostatici per individuare gli assembramenti di persone dall'alto. Questa tecnica è alternativa all'uso dei droni, e l'abbiamo sperimentata con successo per uno scopo completamente diverso: la calibrazione, in Australia e in Sud Africa, del grande radio telescopio Ska (Sky Kilometer Array), che è composto da tante antenne di piccole dimensioni. È una soluzione che si può realizzare rapidamente con tecniche consolidate.

Queste tecnologie pongono, però, seri problemi di rispetto della privacy. Come pensate di risolverli?

In questa fase ci stiamo muovendo rapidamente, senza preoccuparci degli aspetti burocratici, politici e legali, che però bisogna affrontare e risolvere in tempi rapidi con l'aiuto di altri esperti e delle istituzioni. Noi mettiamo a disposizione le nostre competenze: siamo tecnici e vogliamo offrire soluzioni tecniche ai problemi attuali.

Quale sarà la prossima tecnologia che potrebbe entrare negli ospedali o nei reparti di rianimazione?

Trovo di grande interesse i test sulla radiazione ultravioletta (UV) che stiamo avviando con il Dipartimento di Fisiopatologia Medico Chirurgica e Trapianti dell'Università di Milano.

Nel nostro istituto, infatti, abbiamo una competenza specifica sui raggi UV, che utilizziamo ad esempio per realizzare strumenti che osservano corpi celesti e il nostro Sole, o per trattare materiali speciali per applicazioni astronomiche. È una questione un po' tecnica, ma la cosa importante è che i raggi UV, soprattutto quelli più energetici, hanno un elevato potere sterilizzante, quindi potrebbero essere usati per distruggere il virus. Penso a contenitori grandi come un forno a microonde, in cui inserire mascherine o altro materiale sanitario da sterilizzare. I test cominceranno già entro questa settimana.

E non finisce qui. Abbiamo in mente anche uno studio per capire se la radiazione solare UVB e UVA, che arriva sulla Terra attraversando l'atmosfera, distrugge il virus. Se così fosse, potremmo aspettarci una riduzione del contagio all'aria aperta nei mesi estivi. 

Laboratori dell'Istituto Nazionale di Astrofisica. © INAF

L'applicazione più fantascientifica?

Si potrebbero utilizzare tecniche simili a quelle adottate sui rover che sono stati mandati alla ricerca della vita su Marte. L'idea è quella di cercare le tracce del virus, in particolare il suo corredo genetico (Rna), presenti nell'aria. Ci sarebbe bisogno di un meccanismo che risucchia l'aria e l'analizza tramite micro-strumentazione montata su un piccolo chip elettronico di alcuni millimetri quadrati. Pensate a quanto sarebbe utile: inserito in una stanza, darebbe un allarme non appena una persona infetta vi entrasse. Ed è più facilmente realizzabile di quanto si possa pensare.

Come hanno reagito i ricercatori a queste iniziative?

Con grande entusiasmo, e con una effervescenza intellettuale di altissimo profilo. L'esportazione delle nostre tecnologie verso altri settori della società fa già parte della nostra missione istituzionale, e c'è un intero segmento che se ne occupa. Ma questa volta la risposta è stata veramente corale.

Che cosa ci insegna, dal suo punto di vista, questa vicenda? Quali insegnamenti potremmo trarne?

Questa vicenda ci insegna certamente tante cose. Innanzitutto, dimostra che la scienza è al servizio dell'umanità. E che le collaborazioni internazionali, sia nella ricerca di base che nelle applicazioni, rappresentano il futuro. Ma quel che accade ci insegna anche che la scienza sa correre, che gli scienziati sono come fulmini, come atleti olimpionici, e che la burocrazia deve stare al passo. Per dare corso, in questi giorni, alle idee che emergono, stiamo ottenendo alcune deroghe alle nostre regole burocratiche. Ed è così che deve essere: la burocrazia al servizio della ricerca e non viceversa, come - ahimè – troppo spesso succede.

Se questo aspetto sarà capito, e se la scienza in Italia potrà essere adeguatamente finanziata e potrà correre, noi saremo i primi al mondo. Essere i primi al mondo, con la nostra tradizione culturale, scientifica e umanistica, significa potere trasmettere un vero messaggio di progresso, in contrasto con quei modelli basati sulla capacità di divorare rapidamente le risorse del nostro pianeta. 

Che conseguenze avrà lo stop sulla vostra ricerca? E quando riaprirete, sarà tutto "come prima"? O rimarrà qualcosa di diverso nel vostro modo di lavorare e nei vostri obiettivi?  

L'astrofisica moderna ormai si è affermata come disciplina strategica per il nostro futuro, e riprenderà regolarmente le sue attività e il suo sviluppo. Ma forse non sarà tutto come prima. Forse ci sarà più consapevolezza di quanto sia necessario "fare sistema" tutti insieme, per il futuro del nostro Paese e dell'umanità.

7 aprile 2020 Andrea Parlangeli
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