Il terremoto di magnitudo 9 che ha colpito il Giappone settentrionale nel marzo 2011, con epicentro in mare e conseguente tsunami, è stato uno dei sismi più potenti che si siano mai generati sul nostro pianeta. Da allora i geologi di tutto il mondo lavorano per capire come un evento dalla portata così distruttiva si sia potuto sviluppare: una prima risposta potrebbe arrivare da tre diversi articoli appena pubblicati sulla rivista Science.
A circa un anno dal sisma, una spedizione scientifica internazionale denominata Japan Trench Fast Drilling Project è salpata a bordo della nave perforatrice Chikyu alla volta dei fondali pacifici al largo delle coste giapponesi. Ventisette scienziati di 10 diverse nazionalità hanno effettuato trivellazioni e analisi scientifiche nel sottosuolo oceanico in corrispondenza della faglia dove ha avuto origine il terremoto.
Durante i 50 giorni della spedizione il team è riuscito a raggiungere un punto dove il fondale marino si inabissa per 6900 metri, e a perforare il pavimento oceanico per 850 metri. Hanno raggiunto così una delle cosiddette zone di subduzione, un punto in cui la placca pacifica (una delle zolle che costituiscono la crosta terrestre) subduce, cioè scorre sotto, a quella nordamericana.
Qui i ricercatori hanno compiuto misurazioni della temperatura della crosta terrestre che hanno permesso di valutare l'attrito tra una placca e l'altra: un valore minimo, secondo gli scienziati. «La faglia di T?hoku è più scivolosa di quanto si pensi» ha confermato Emily Brodsky, geofisica dell'Università della California di Santa Cruz e coautrice dello studio. In effetti la faglia ha slittato, in quell'occasione, di ben 50 metri e la rottura, iniziata ben sotto alla superficie, ha in breve raggiunto il fondale oceanico scatenando il devastante tsunami che causato decine di migliaia di vittime.
E qui arriviamo alla responsabile dell'incredibile scivolamento: un'argilla finissima, estratta nel corso delle perforazioni, che riempie la sottile faglia (spessa appena 5 metri nella zona in cui sono state effettuate le misurazioni). «È l'argilla più scivolosa che si possa immaginare» spiega Christie Rowe, dell'Università di McGill, in Canada «se la si strofina tra le dita, la sensazione è di avere tra le mani del lubrificante».
Altre zone del Pacifico nord-occidentale, come la penisola della Kamchatka in Russia o le Isole Aleutine, presentano la stessa, scivolosa copertura e potrebbero causare simili, devastanti terremoti. Anche se la presenza dell'argilla, avvertono gli scienziati, non è l'unica condizione naturale responsabile di eventi catastrofici di questa portata.
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